Con la festa si supera il pregiudizio

Il dottor Isidoro Cioffi spiega il valore dell'apertura del reparto su cui esistono ancora pregiudizi. La sua è una politica di avvicinamento per ribaltare i concetti di dentro e pazzi

 

Nell’ambito della nostra comunità attenzione e conoscenza per le problematiche sanitarie hanno tradizione secolare: stando ai documenti risalgono alla fondazione degli ospedali del territorio. Una scelta di civiltà oggi affiorata impetuosa dopo le velleità riformistiche dei politici che alla sanità guardano con aridi criteri amministrativi.
Un recentissimo approfondimento di Varesenews, legato a un evento medico-sociale in programma all’ospedale di Cittiglio, ha rivelato che il grande spessore della psichiatria del Varesotto non sempre ha avuto adeguati risvolti mediatici. Abbiamo deciso di recuperarlo intervistando il dott. Isidoro Cioffi, storica guida di una innovativa realtà medica come la “Psichiatria del Verbano”, perfettamente in linea con la grande storia varesina della specialità.

Perché e come nacque l’idea di questi incontri.
«Mi ha sempre colpito il fatto che anche il personale ospedaliero ha spesso mostrato un certo timore nel superare l’ingresso del reparto psichiatrico, la porta chiusa che divide il “dentro” dal “fuori”, il luogo dei “pazzi” da quello dei “normali”, quasi delimitazione di una degenza “a rischio” rispetto alle altre. Bisognava fare qualcosa! E’ dagli inizi degli Anni Novanta che nel reparto di psichiatria di Cittiglio si volgono eventi culturali e di intrattenimento, almeno una volta all’anno, ultimamente nel periodo natalizio. La manifestazione si propone di stabilire una tradizione conviviale all’interno del servizio Psichiatrico, abitualmente considerato come luogo di contenimento e di gestione della crisi psichiatrica. Il fatto che esso divenga, invece, luogo di cultura liberamente frequentato dal pubblico “esterno”, intende fugare il pregiudizio nei confronti della cosiddetta follia e riconnettere i degenti al tessuto sociale e viceversa. La musica deve continuare e solo con “le porte aperte” può far bene alla mente e al cuore di chi suona e di chi ascolta!»

Un percorso lungo e non facile, quali sono stati i momenti più impegnativi?
«La cultura dell’aziendalizzazione con la sua attenzione crescente verso gli aspetti economici della spesa sanitaria e con il suo background culturale epidemiologico-statistico ha costretto gli operatori di una disciplina a ponte quale è la psichiatria, tra la medicina, il sociale, lo psicologico, comunque di fondo sostanzialmente umanistico, a considerare aspetti meno familiari se non proprio nuovi del lavoro quotidiano, sin qui delegati pressochè in toto agli amministratori degli ospedali. Il compito più arduo di questi anni è stato forse quello di integrare queste nuove esigenze del servizio con i bisogni avanzati dai pazienti. La complessità del lavoro diviene più comprensibile se immaginiamo la rete di relazioni che la specificità del nostro intervento comporta normalmente nella gestione di un caso difficile con incontri con operatori di comuni, enti, associazioni o altri servizi e istituzioni terapeutiche, per esempio comunità terapeutiche. Tutto questo in aggiunta all’implementato lavoro nella clinica (raddoppio del numero delle prestazioni in questi ultimi due anni), al “normale” impegno verso l’aggiornamento scientifico e la necessaria riflessione verso i nuovi e importanti sviluppi propostisi in questi ultimi anni».

Cioè?
«Se le patologie psichiatriche “classiche” quali la schizofrenia, il disturbo bipolare ed i disturbi depressivi in genere grazie ai farmaci e ad un adeguato supporto psicologico e assistenziale hanno trovato diverse possibilità di cura con risultati globalmente positivi, tuttavia sembra che il disagio psichico in questi ultimi due decenni stia esprimendo delle trasformazioni. Si osserva una netta espansione di quei disturbi classificati come disturbi della personalità (i cosiddetti casi difficili) e dell’affettività (es. depressioni). Quello che è assolutamente evidente è da un lato che si tratta di quei casi che maggiormente impegnano i servizi mettendone fino in fondo in evidenza i limiti e le contraddizioni, e dall’altro verosimilmente saranno i casi che saremo in futuro sempre più chiamati a seguire. Più spesso sono pazienti molto bisognosi che richiedono una grande attivazione ed impiego di risorse sia umane che strutturali, che in questo periodo storico sono peraltro rese più difficili dalla crisi economica generale e dalla crisi del welfare. Più spesso non accettano e seguono correttamente i percorsi suggeriti. Più frequentemente si presentano irregolarmente agli appuntamenti, saltandoli a volte o presentandosi fuori appuntamento (a volte anche per più giorni di seguito), oppure ancora scomparendo per periodi di tempo imprecisato salvo poi ricomparire improvvisamente magari attraverso un ricovero in reparto psichiatrico. Con questi pazienti i progetti terapeutici divengono più spesso oggetto di contrattazioni estenuanti e di richieste continue di riformulazione dettate dall’incalzare degli eventi. La sensazione più diffusa tra gli operatori, a contatto con un elevato livello di frustrazione, è quella di pazienti “imprevedibili e poco gestibili”, che non “stanno dentro” in niente. Illusione (di una presa in carico finalmente) e delusione si alternano».

L’istituzione sanitaria vi è stata vicina?
«Fino al comparto, ci è stata e ci è sempre vicina, facendo il possibile, anche in tempi di risorse limitate come gli odierni, per sostenerci nel nostro impegno, pur con le inevitabili fasi dialettiche, solo a volte aspre.
Devo aggiungere che anche la gente della sponda lombarda del Verbano si è rivelata interessata al recupero di chi è stato escluso andando molto oltre ad un’azione superficialmente umanitaria e pietistica: Volontari, Enti, Associazioni, Scuole, semplici cittadini, si sono via via affiancati a noi fino a costituire una rete accogliente per i “nostri” pazienti così provati, insieme a chi gli vuole bene, dalla sofferenza».  

L’iniziativa parla di una crescita culturale enorme 
con grandi ricadute sociali, per l famigliari e gli ammalati
«Le tematiche familiari sono state impegnative, seppur contemporaneamente molto care alla Psichiatria del Verbano per la convinzione che la famiglia del paziente psichiatrico, pur nel suo dolore, rappresenti una risorsa indispensabile nel difficile cammino del sofferente psichico verso una piena integrazione nel territorio d’origine.
In passato, un atteggiamento moralistico portava a considerare alternativamente il paziente come capro espiatorio dei problemi della sua famiglia o quest’ultima come vittima delle ripercussioni nel suo seno di un individuo gravemente perturbato.
Questo atteggiamento scaturiva dall’ erronea convinzione che considerava l’individuo e le sue relazioni in maniera unidirezionale e causale, trascurando il fatto che la sua sofferenza è condivisa circolarmente da tutto il gruppo familiare, anche se i ruoli cambiano e varia il gioco.
Inoltre molto spesso le famiglie al cui interno vive un paziente psichiatrico si trovano a vivere una situazione di isolamento dovuta a diversi fattori: difficoltà ad affrontare gli altri, paura del giudizio esterno, sensi di colpa, paure di subire violenze e altro ancora: “Quando non ci sarò più che fine farà mio figlio schizofrenico?” “Come devo comportarmi con lui?” “I farmaci sono proprio l’unico rimedio?” “Non si può inviarlo in una comunità?” “Quando potrà lavorare?” “La depressione è ereditaria?”. Da qui la necessità di organizzare un sostegno ai familiari e a tutti coloro che condividono a vario titolo la quotidianità con un ammalato psichico.
In quest’ottica, nel mese di marzo 2004 si è costituito il primo nucleo di Gruppo Auto Mutuo Aiuto presso il Centro Psico Sociale di Laveno a cura della psicologa, Ave Bellintani, con il successivo gemello presso il Centro Psico Sociale di Luino a cura della psicologa Marica Girardi.
Raccontandosi le proprie esperienze di vita, scambiandosi informazioni e soluzioni strategiche, i familiari arrivano a condividere sofferenze e conquiste con l’obiettivo di riscoprirsi risorsa, non solo per sé, ma per l’intera collettività. Nel tempo si è registrata così una maggiore propensione ad “aprirsi” , a chiedere aiuto. Ad esempio, lo ha dimostrato l’enorme partecipazione che si è avuta ad un incontro, organizzato da noi insieme agli amministratori di Besozzo, sul disagio psichico e sulle paure dei pazienti e dei loro familiari che si è svolto nel 2012, cui ha preso parte anche l’artista Alba Parietti. Circa quattrocento persone hanno affollato la Sala Duse di Besozzo, lasciandone fuori molte altre, in un clima molto bello ed emotivamente coinvolgente. Il pubblico, composto anche da molti sofferenti psichici e loro familiari, è intervenuto più volte con domande ed anche testimonianze, probabilmente stimolate dal rapporto toccante ed intimo della Parietti che, presentando il suo libro “Da qui non se ne va nessuno”, ha parlato del rapporto con sua madre, una grave psicotica, e dello zio che ha trascorso la maggior parte della sua vita adulta in manicomio.
Altro aspetto positivo registrato dalla nostra esperienza in questi anni è che in generale il familiare che pratica l’Auto Mutuo Aiuto possiede un migliore livello di conoscenza del funzionamento dei nostri servizi psichiatrici e, di conseguenza risulta più facile per gli operatori condividere con loro una migliore alleanza terapeutica di cura a favore del paziente»

La portata medico-scientifiche delle vostre scelte ha riscosso consensi e in che misura è stata novità
«Più di 30 anni fa, durante lo “scontro” tra un approccio al disagio psichico marcatamente biologico e uno ideologicamente antipsichiatrico, la neonata Psichiatria del Verbano ha accolto e fatto suo l’originale paradigma sistemico-relazionale creando così una potente premessa operativa collettivamente condivisa dai suoi operatori: una situazione -soprattutto per i tempi- davvero eccezionale che ha costituito un imprinting così basilare che ha informato tutto il lavoro successivamente svolto, anche dopo l’integrazione con altri paradigmi, e che è stata precorritrice di molte linee guida date successivamente dalla Regione: ad esempio l’approccio integrato multi-professionale al disturbo psichico, l’assistenza al paziente nei suoi bisogni sanitari e sociali; l’importanza dei principi della continuità terapeutica attraverso la fondamentale ed ineludibile unitarietà del servizio che opera nel vivo della trama sociale, l’integrazione e il coinvolgimento delle realtà territoriali, etc.
Molto sinteticamente, l’approccio Relazionale-Sistemico focalizza la sua attenzione sulle relazioni che si svolgono all’interno -appunto- del Sistema, dove con questo termine si indica un gruppo di esseri umani che condividono le loro reciproche interazioni; nel nostro caso, appunto, la famiglia.
Questa prospettiva è molto interessante in quanto permette di riconsiderare i "sintomi" della psicopatologia classica come comportamenti che veicolano un significato, e che pertanto hanno un senso e debbono essere decifrati nell’ambito del contesto relazionale e della storia della famiglia. Il vantaggio consiste nella possibilità di ridefinire, condividere e modificare questi comportamenti attivando le risorse della famiglia tutta, ed insieme ad essa, nell’ambito della quale queste interazioni "disfunzionali" si sono sviluppate.
Sulle sponde lombarde del Verbano si anticiparono così’ i momenti cardine dell’instaurarsi di una concreta azione di trasformazione della cultura del territorio, spostando l’accento dalla tutela della società – come prima s’intendeva il ruolo della psichiatria – alla tutela dei malati, affidandoli ad una nuova psichiatria che fosse in primis non la cura della malattia, ma la presa in carico della persona sofferente in tutti i suoi bisogni essenziali sanitari e sociali. Occorre comprendere il malato, nella sua storia e nella sua famiglia, in luogo e prima di spiegarne la malattia.
Il reparto di degenza psichiatrica è, per certi versi, non più attore protagonista, ultimo retaggio di un modello in via di estinzione, come conferma il numero, sempre più contenuto, dei ricoveri in Psichiatria a Cittiglio. Contestualmente, sono cresciute in maniera più che proporzionale le formule dell’assistenza territoriale, diurna e ambulatoriale, delle soluzioni a media e bassa assistenza, fino all’housing sociale che, sempre sul Verbano, ha trovato una delle prime applicazioni in Lombardia.
Si sono moltiplicate inoltre le attività proposte ai pazienti, dagli atelier di pittura al teatro, dalla danza allo sport, finalizzate ad un obiettivo prioritario: offrire la possibilità di esprimersi, di relazionarsi con il mondo e con gli altri, di vincere le paure e riacquistare l’equilibrio emotivo.
Per quanto riguarda il connettere il mondo esterno con i presidi sanitari, se negli anni ‘90’ eravamo praticamente gli unici con la “Notte Folle” e similari iniziative, guardati con un certo sospetto a volte sarcastico, a tutt’oggi concerti, cabaret, clown, etc. affollano gli ospedali, purtroppo ancora non molto le strutture psichiatriche.
Insomma il modello esportato e da continuare ad esportare è quello della fiducia, della vicinanza, della complicità tra sanitari, sofferenti psichici, familiari, quel modello, talvolta forse idealizzato, della medicina di un tempo, fondata su un rapporto di stima e conoscenza che univa un paziente al suo dottore come uomo, prima che come medico»

Lei ha sempre messo la sordina al suo lavoro, cioè non ha mai battuto la grancassa per la sua iniziativa la Notte folle potrebbe essere l’occasione per almeno ricordare i suoi collaboratori.
«Senza falsa modestia, vorrei assicurare che ci si può rivolgere con fiducia alle nostre strutture sia ospedaliere, il reparto di psichiatria e il day hospital di Cittiglio (responsabile il dr. Marco Piccinelli), che territoriali, i Centri Psico Sociali di Laveno e Luino con la residenzialità leggera di Cassano Valcuvia (coordinatore il dr. Roberto Pedroni), che residenziali e semiresidenziali, le due Comunità e il Centro Diurno di Luino (referente il dr. Michele Zara).
Ci tengo a sottolineare che l’assistenza al disagio psichico nell’estremo nord della provincia di Varese è professionale, creativa, familiare grazie all’entusiasmo, oltre che dei medici, direi di tutti i circa cento operatori della Psichiatria del Verbano: psicologi, assistenti sociali, infermieri, educatori e loro coordinatori».

Ci piacerebbe conoscere il prossimo traguardo che come medico si è posto.
«La sfida per il futuro si gioca su vari obiettivi. Quello che mi sta particolarmente a cuore è quello dell’inserimento lavorativo del paziente psichiatrico come ulteriore mattone della sua dignità esistenziale. La persona che soffre di una patologia mentale non accede spontaneamente al lavoro, allo stesso modo in cui il mondo del lavoro non accoglie spontaneamente i portatori di fragilità. Sono necessarie delle mediazioni che siano di ausilio alla persona e che allarghino gli spazi possibili nell’organizzazione della produzione.
Naturalmente tenendo presente che il caso non è soltanto un problema di disoccupazione, di alloggio o di bilancio insufficienti, ma un fatto di vita.
Mi si lasci concludere ringraziando i sofferenti psichici, i loro familiari, gli operatori, gli amministratori, i volontari, gli artisti e la gente comune che con coraggio, convinzione e tenacia si sono impegnati con noi nell’impervio cammino del disagio psichico». 

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 09 Dicembre 2014
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