Cosa rimane del processo Uva, dopo il Biggiogero show

Punto per punto, ecco cosa ha confermato il testimone e i tanti passi falsi che ha commesso

Il processo per la morte di Giuseppe Uva ha affrontato uno snodo importantissimo con la testimonianza di Alberto Biggiogero, l’amico della vittima che quella notte era con lui. E’ dalle sue parole che nasce il sospetto che Uva sia stato picchiato in caserma, un sospetto che ha portato al processo in corte d’assise per omicidio preterintenzionale, in corso a Varese. Qual è stato il risultato di questa audizione in aula? Piuttosto sfavorevole alla tesi dell’omicidio.

Va subito fatta una postilla di colore. Biggiogero è stato a tratti davvero teatrale: soprattutto quando si è definito un “tossico indipendente” perché a differenza dei tossicodipendenti lui, ogni tanto, fa delle pause con le droghe. E ha suscitato stupore la sua affermazione che  quella notte non era strafatto, ma solo “dignitosamente brillo”.

Ma torniamo ai fatti. A favore della parte civile, c’è questo: Alberto ha confermato di aver sentito quella notte, da una stanza di attesa della caserma, delle urla provenire dal corridoio e ha affermato di aver udito le parole “ahia” e “basta”. Ha anche confermato che un carabiniere, qualche minuto prima, in strada, riconobbe Giuseppe (che tuttavia era molto noto in città, negli ospedali e tra le forze dell’ordine) e lo chiamò per nome. Biggiogero però ha confermato altresì di non aver visto nulla, ma solo ascoltato a distanza quanto accadde.


Tuttavia è la credibilità generale del testimone che ne è uscita fortemente minata. Soprattutto, non è più chiaro se quella notte Biggiogero fosse in grado di capire che cosa stesse accadendo. Perché? Il motivo emerge con chiarezza dalle oltre 12 ore di deposizione complessiva di Biggiogero. Il teste ha infatti ammesso che quella notte lui e l’amico erano pesantemente carichi di alcol e che egli aveva assunto almeno tre tipi diversi droghe: cocaina, hashish e marijuana. L’assunzione di alcol era iniziata almeno dalle cinque di pomeriggio, e quando alle tre di notte, alla fine della serata, Giuseppe e Alberto si presentano in via Garibaldi a Varese, ululando, e ricevendo gli insulti dei cittadini ai balconi, i due sono praticamente ubriachi fradici; Alberto è inoltre imbottito di droghe (di cui peraltro fa uso dall’età di 16 anni). Biggiogero dice di aver chiamato il padre spaventatissimo, ma Ferruccio Biggiogero ha invece raccontato che quando il figlio lo chiamò era calmissimo. E che solo dopo averlo prelevato in caserma gli disse che di aver udito Giuseppe urlare. Il padre tuttavia non sentì nulla, nonostante sia rimasto per almeno 10 minuti, intorno alle 4 di mattina, nel cortile della caserma dei carabinieri.

La credibilità
di Alberto Biggiogero, inoltre, è stata messa in dubbio anche per il suo comportamento processuale. Un’udienza è addirittura saltata perché la notte prima l’uomo ha assunto cocaina e psicofarmaci, finendo in rianimazione in ospedale. Una diagnosi psichiatrica del 20’13 (è invalido al 100%) lo ha definito  un carattere manipolatorio e che “tende a raccontare i fatti per come gli è utile” (la relazione è stata letta dal il pm Borgonovo in aula)

Il punto è che la corte deve decidere se condannare per omicidio preterintenzionale 8 persone, sulla base della sua testimonianza. Non solo, certo, ma la sua è una parola che conta tantissimo. Una responsabilità enorme. Ebbene, Biggiogero si è contraddetto più volte, ma soprattutto è parso orientare le sue parole a seconda dell’interlocutore, fornendo spesso due versioni dello stesso fatto. Così è accaduto quando ha dovuto spiegare se la denuncia l’avesse fatta in ospedale o da un avvocato; così è accaduto anche sul racconto di quanto accadde in via Dandolo e in via Garibaldi prima del trasporto in caserma.

Vediamo questo punto. Il testimone stilò una denuncia in cui raccontò di un vero e proprio pestaggio, in strada, da parte dei carabinieri tra via Dandolo e via Garibaldi a Varese. In aula ha invece detto che furono strattonati, che Giuseppe fu spinto in auto e che lui vide dei “movimenti strani” (ha parlato di uno schiaffone, ma i carabinieri negano). Ben diverso dall’affermare che furono massacrati o che Giuseppe, in auto, lo guardava con gli occhi di chi si vedeva spacciato, come pare abbia scritto nella denuncia (una denuncia che peraltro, durante la sua audizione, ha persino negato di avere mai fatto).


La cena smentita
Un altro punto estraniante è quello della serata che precedette la notte brava di Alberto e Giuseppe.
Il padre di Alberto, Ferruccio, ha spiegato che i due amici cenarono a casa sua, in viale dei Mille e che insieme guardarono la partita della nazionale di calcio. Biggiogero ha invece sostenuto che si fecero da magiare a casa di Alberto, in via Turati, dove Giuseppe da qualche tempo era ospite, insieme alla fidanzata ungherese. Ma come è possibile? Non si tratta di una informazione di dettaglio, per un motivo molto semplice. Biggiogero ha sostenuto che Uva si fece le doccia e indossò pantaloni puliti. Questa informazione sarebbe interessante, perché si potrebbe in questo modo affermare che le macchie di sangue sui pantaloni di Uva sono state prodotte durante quella notte e non per le emorroidi. Biggiogero già nel controesame aveva però cambiato versione, negando di aver visto Giuseppe uscire dalla doccia e prendere pantaloni puliti. In prima battuta aveva invece descritto una scena di grande compostezza: Giuseppe Uva era vanitoso, Alberto gli aveva regalato dei balsami per i capelli, e li usava per profumarseli. Tutte informazioni che stridono con quanto affermato dai medici e dagli infermieri dell’ospedale che lo videro quella notte, i quali hanno affermato che Uva era in condizioni igieniche molto precarie. Riassumendo,  quella cena, quella doccia, e i pantaloni puliti, dopo la testimonianza di Ferruccio Biggigero scompaiono dal processo. 

La relazione con la moglie di un carabiniere
Ci sono poi altri due punti importanti da chiarire. Il movente del presunto omicidio e la vendetta sadica dei carabinieri. Lucia Uva affermò alla trasmissione Le Iene che suo fratello era stato sodomizzato (sarà a processo per diffamazione, per questa frase). La perizia in fase di indagine ha reso meno probabile questa circostanza, parlando di sangue sui pantaloni come conseguenza di emorroidi. Tuttavia non ha escluso che possa esserci stato un elemento scatentante terzo. E’ per questo che poteva essere importante stabilire se i pantaloni di Uva fossero stati puliti quella sera, ma sul punto Biggiogero è stato smentito.

Infine, facendo ancora un passo indietro, spesso si è parlato del movente, e cioè del fatto che Uva avrebbe avuto una relazione con la moglie di un carabiniere. Biggiogero, in aula, ha riferito che gli fu detto da un amico di Uva. Il teste ha poi affermato che non sarebbe in grado di dire se fosse un fatto vero o meno. Ecco, dunque, un altro elemento che appare senza riscontro. Una diceria di seconda mano, allo stato dei fatti. Che però ha pesato per anni, rilanciata dalle tv,  sulla vita degli imputati. Biggiogero ha anche rischiato la denunncia per calunnia, da parte del pm Daniela Borgonovo, perché durante la testimonianza ha confuso i due carabinieri e ha affermato che forse avevano firmato il verbale l’uno con il nome dell’altro. Un’affermazione che ha suscitato ilarità, tanto che il presidente della corte d’assise Vito Piglionica ha sarcasticamente commentato, visibilmente contrariato: “Già, e forse si sono anche scambiate le mogli…”. Ma non tutto è perduto per le parti civili. Ci sono ancora 50 testimoni e una superteste, Assunta Immacolata Russo, la donna che afferma di aver sentito delle guardie portare Uva in bagno e parlare tra loro di pestaggio. Si ricomincia il 23 gennaio.

leggi anche:

Biggiogero in aula parte 1

Biggiogero in aula parte 2

Il dossier sul caso Uva

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Pubblicato il 22 Dicembre 2014
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