Esportare in Iran, Siria e Russia: la missione è possibile

Consigli alle imprese su come impostare strategie commerciali nei Paesi sotto embargo. In Siria l’export varesino è in crescita del 32,1%. In calo i flussi verso l’Iran: -13,1%. Si conferma il calo con la Russia: -51%

«Prevenire è meglio che curare». Un motto sempre valido, anche per le imprese che vogliono esportare in Paesi sotto embargo. Come Siria, Russia e Iran. Mercati dove le aziende varesine hanno esportato, nei primi sei mesi di quest’anno, beni per un valore di 107 milioni di euro. Il 50% in meno rispetto allo stesso periodo del 2013. Con un calo soprattutto imputabile all’arretramento dell’export in Russia, sceso del 51,1%, contro il -13,2% registrato in Iran e il +32,1% della Siria.
La "mission impossible” che si è imposta l’industria locale attraverso l’Unione degli Industriali della Provincia di Varese è quello di invertire il trend e tornare a crescere anche in mercati così ostici. Stando, però attenti alle regole da rispettare e ad evitare sanzioni, che possono anche costare caro.
Gli embarghi, infatti, lasciano spazio a degli spiragli per la vendita di tutta una serie di prodotti che nascono, vengono prodotti e venduti per uso civile. Salvo, però, la possibilità per chi li compra di farne un utilizzo del tutto diverso. Sono i cosiddetti beni a duplice uso. È qui che le imprese devono stare attente. Non basta l’intenzione del produttore. Le regole che vanno rispettate per l’esportazione di tali prodotti sono tante. E altrettanti sono i rischi per un’impresa. Un esempio? Il container di un’azienda contenente innocue fascette di cablaggio, mai arrivate a destinazione, perché bloccate in dogana con la motivazione che potevano essere usate dal ricevente come strumento di arresto per la repressione delle proteste interne. E se delle semplici coperte venissero utilizzare da un governo non in un ospedale ma per l’esercito? E se delle semplici tute di protezione da lavoro venissero riadattate come divisa antisommossa?
Beni che in molte parti del mondo possono essere esportati liberamente, ma non se il cliente è in Iran. Dove per vendere alcuni prodotti in duplice uso occorre l’autorizzazione. E dove le imprese varesine hanno registrato nei primi sei mesi di quest’anno un export di 6,8 milioni di euro. A farla da padrona con una quota del 56% è il settore dei macchinari e degli apparecchi meccanici (3,8 milioni di beni venduti da Varese), seguito da quello chimico con il 18% (1,2 milioni) e dagli apparecchi elettrici (602mila euro).
Altro mercato sensibile e sotto embargo è la Siria dove le imprese non possono esportare oggetti che potrebbero essere usati come strumento di repressione interna o beni per lo sfruttamento del petrolio e del gas. «Tra l’altro – spiega alle imprese varesine il consulente aziendale Zeno Poggi – le aziende devono stare attente anche alle regole imposte dall’embargo statunitense. Se un’impresa le viola direttamente o indirettamente viene segnalata e così nessun contratto potrà essere in futuro firmato per vendite o acquisti con qualsiasi società degli States». E allora cosa esportano le imprese varesine in Siria? Per lo più (42%) macchinari, per un valore di 357mila euro. Seguono i prodotti in metallo che, con 221mila euro, rappresentano il 26% del totale. Il quale ammonta a 855mila euro di esportazioni nei primi 6 mesi del 2014.
«Le imprese italiane devono sapere ed essere coscienti che in Iran, Siria e Russia possono esportare. Cosa? Tutto ciò che non è vietato. Basta stare attenti alle regole, alla corretta compilazione dei documenti. Gli imprenditori non devono avere paura», afferma Massimo Cipoletti direttore divisione IV esportazioni di beni a duplice uso del Ministero dello Sviluppo Economico.
Così come avviene, per esempio, all’interno della Petrolvalves, realtà del territorio leader nella produzione di valvole per il settore Oil&Gas, come testimonia Antonio Pariani, Finance & Business Support dell’azienda.
«L’Iran ha estremo bisogno dei nostri beni ed operare su quel mercato è possibile. Noi stessi ne siamo una prova», racconta Alfonso Santilli, responsabile direzione estero della Banca Popolare di Vicenza.
«La sicurezza passa da una corretta gestione dell’esportazione a partire dalle fasi preliminari», è il consiglio dato da Zeno Poggi che ha aggiunto: «La maggior parte degli errori e dei ritardi in dogana sono dovuti alla mancanza dei documenti necessari in azienda. Con una documentazione completa e corretta tutto è più veloce e fattibile».

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 16 Dicembre 2014
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