Umberto Colombo (Cgil): “Il jobs act è un gioco di prestigio”

Il segretario provinciale della Cgil commenta i primi decreti attuativi sulla riforma del mercato lavoro. In provincia di Varese dall’inizio dell’anno sono stati licenziati 3.078 lavoratori

umberto colombo spi

In provincia di Varese dall’inizio dell’anno sono stati licenziati 3.078 lavoratori, 1.870 uomini e 1.208 donne, nonostante sia ancora in vigore lo Statuto dei lavoratori e la riforma del lavoro del governo Renzi sia ancora un cantiere aperto. Dati che preoccuppano molto Umberto Colombo, segretario provinciale della Cgil.

Colombo, i primi decreti attuativi sul jobs act sono stati emanati. Che cosa ne pensa?

«Che peggiorano la riforma. Purtroppo troviamo la conferma di un metodo che non condividiamo e che in tempi di crisi riteniamo pericoloso. Pensare di affrontare la riforma del lavoro senza le parti sociali è una novità negativa. La Cgil nei momenti di maggiore difficoltà del Paese ha contribuito a trovare le soluzioni».

La Cgil e la Uil hanno fatto uno sciopero preventivo, ma essendo il jobs act una legge delega forse era adesso il momento di far sentire la vostra voce.
«Rifiuto la definizione di sciopero preventivo, perché noi contestiamo un metodo e con esso un contenuto».

Allora discutiamo del contenuto. Partiamo dall’articolo 18: i licenziamenti individuali, camuffati da licenziamenti collettivi per motivi economici, nella prassi già ci sono. Perché contestare la questione del mancato reintegro nel posto di lavoro prevista dalla riforma?
«In un anno per motivi economici più di tremila lavoratori nella sola provincia di Varese sono andati in mobilità. Dal 31 dicembre in poi le cose peggioreranno perché andrà a compimento la Fornero. La prassi di cui parla lei è l’eccezione, la regola oggi, stante la crisi, è un’altra».

La Fornero ha aperto la strada all’attuale riforma, in particolare alla modifica dell’articolo 18. Perché allora non siete stati altrettanto critici come con il jobs act?
«Il Paese era sull’orlo del baratro e a noi è stato chiesto un atteggiamento di responsabilità. Siamo così critici con il jobs act perché  peggiorando le condizioni del licenziamento economico, attribuisce un potere enorme al datore di lavoro».

Parliamo di professionalità e mansioni. Quando c’è un’azienda in crisi con l‘accordo sindacale il demansionamento avviene quasi sempre in nome del salvataggio dei posti di lavoro. Perché contestarlo nel jobs act che tra l’altro lo regolamenta in modo preciso?
«Quando si affrontano le ristrutturazioni per evitare i licenziamenti noi contrattiamo anche su questi punti, concordiamo soluzioni per salvare i posti di lavoro, sempre a parità di salario. Un conto però è trovarsi in presenza di una ristrutturazione, un conto è dare carta bianca per legge al datore di lavoro. Oggi ci sono già casi molti casi di mobbing, mi chiedo cosa succederà se c’è una gestione unilaterale di queste situazioni».

I controlli a distanza non diretti sul lavoratore in molti casi hanno consentito di scoperchiare situazioni fraudolente a carico dello stesso. Visto ormai l’utilizzo massiccio della tecnologia nella produzione, perché non consentire un controllo?
«Controllare è una strategia per indebolire l’autonomia del lavoratore all’interno dei luoghi di lavoro e lasciare al datore di lavoro tutto il potere per licenziarlo, tra l’altro sapendo già quanto gli costa, è un errore grave. Il lavoratore non puo’ essere trattato alla stregua di una merce, quindi è una battaglia di dignità».

Nel sindacato la categoria più bistrattata è quella dei precari, eppure dovrebbe essere quella più considerata, visto il numero di persone che potenzialmente rappresenta. Non le sembra che questo sia un errore nel sistema della rappresentanza sindacale e invece il contratto a tutele crescenti una soluzione concreta, in grado di riavvicinare quei lavoratori al sindacato?
«Derogare al contratto a tempo indeterminato è un grave errore, ma grazie ai giochi di prestigio di Renzi e Poletti si dice che il contratto a tutele crescenti tutelerà le nuove generazioni. Ma come è possibile, se viene tolta la reintegra nei licenziamenti economici manifestamente insussistenti? Forse la via è un’altra, ovvero l’estensione del contratto a tempo indeterminato, tutelando diritti e salario».

Però dal pacchetto del ministro Treu, che ha introdotto in Italia la precarietà e il suo simbolo per eccellenza, i co.co.co,  sono passati diciotto anni. Perché in tutto questo tempo i precari sono rimasti tali, anzi, hanno peggiorato la loro condizione?
«La Cgil ha sempre proposto e propone l’estensione dei diritti e non la loro cancellazione, come prevede il jobs act».

Le ricordo  che quelle leggi sono state fatte con il sistema della concertazione e quindi anche con il concorso della Cgil.
«Se oggi si discute della fine del contratto a tempo indeterminato, vuol dire che il nostro senso di responsabilità di allora non è stato premiato».

Non è forse la prova che il sistema della concertazione ha fallito?
«No».

Michele Mancino
michele.mancino@varesenews.it

Il lettore merita rispetto. Ecco perché racconto i fatti usando un linguaggio democratico, non mi innamoro delle parole, studio tanto e chiedo scusa quando sbaglio.

Pubblicato il 30 Dicembre 2014
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