Le capesante mi sembrano inutili anche da cotte

È diventato chef a 39 anni. Ezio Santin (tre stelle Michelin) ospite alla Tana d'Orso di Mustonate ha raccontato la sua straordinaria avventura agli studenti dell'Istituto Giovanni Falcone

ezio santin

Ezio Santin, uno degli chef più famosi al mondo, è un uomo mite e determinato. Non ama darsi arie e nelle sue parole non brillano quasi mai le stelle Michelin che negli anni hanno illuminato il suo ristorante sui navigli. In lui prevale la semplicità, come nei suoi celebri piatti.

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È vero che alla soglia degli 80 anni ci si puo’ permettere di essere un po’ filosofi, ma la storia di Santin è tutt’altro che lineare, procede per salti e brusche virate.  È questo l’aspetto che più ha affascinato Manuel, Fatima, Clarissa e Daniele, giovani allievi dell’istituto alberghiero Falcone di Gallarate, presenti al ristorante la Tana d’Orso di Mustonate per ascoltare il grande chef e sua moglie Renata, durante la presentazione di “Un, due, tre stella” il libro scritto da Giorgio Maimone ed Erica Arosio che racconta la loro straordinaria avventura di ristoratori.

(nella foto: Ezio Santin dà consigli ai giovani studenti dell’istituto alberghiero Falcone di Gallarate)

«La cosa più sconvolgente – ha sottolineato il diciottenne Manuel – è che abbia iniziato a 39 anni. Chi studia per diventare chef sa che è quasi un miracolo». Erano gli anni settanta. Altri tempi, è vero. Intorno ai fornelli c’era ancora tutto un racconto da inventare. Gli chef non erano star televisive, ma invisibili e sconosciuti alchimisti della pietanza che, come Santin, sacrificavano fino a 18 ore della loro giornata per trovare il piatto perfetto, come se fosse il santo graal.

Il “caso” Santin attrae così tanto gli aspiranti chef perché affronta un tema che nessun reality o trasmissione dedicata alla cucina è in grado di affrontare con serietà: il cambiamento. Ascoltando quest’uomo minuto e dallo sguardo curioso con l’unico vezzo dei lunghi riccioli bianchi, si capisce quanto sia importante se si vuol cambiare credere in se stessi e soprattutto avere fiducia in chi ti sta intorno. «Ho capito che era venuto il momento di aprire il ristorante – ha raccontato Renata Santin – quando l’ho visto nel magazzino della torrefazione che prendeva a calci un sacco di caffè. I suoi occhi non sognavano più».

Il sogno di Ezio, dopo aver fatto anche il parrucchiere per signora, si è materializzato nell’Osteria del Ponte di Cassinetta di Lugagnano, località perennemente immersa nella nebbia,  dove si sono “persi” per ore, seduti a un tavolo, capitani d’industria, attori, calciatori, futuri premier, cantanti, ristoratori concorrenti, ispettori della guida Michelin ma soprattutto tanta gente comune che si accomodava nella sala ricevendo le stesse attenzioni – se non di più – dei gourmand di rango, perché i Santin sono autentici profeti della democrazia in tavola. «Se apri una bottiglia di vino da trecento euro – dice Ezio – è buona per il ricco come per il povero. Bisogna saper accogliere le persone e farle sentire a loro agio chiunque esse siano».

Recuperare e preservare l’essenzialità di ciò che viene lavorato in cucina è la regola a cui l’inventore del flan di cioccolato caldo («purtroppo mai brevettato» ha sottolineato la moglie Renata ) non ha mai derogato. «Come in un’opera d’arte – aggiunge Francesco Testa, chef della Tana D’orso – un piatto è un misto di profonda conoscenza e intuito, uniti dal rispetto per la materia prima. Santin è diventato un vero maestro perché ha praticato questa via».

Conoscere il cibo è stato il secondo argomento della serata, missione affidata a “Stravizzi” (non è un errore, la parola è di origine balcanica e si scrive con due zeta), testata giornalistica on line, diretta dal giornalista Filippo Brusa e tenuta a battesimo proprio da Santin, alla presenza del comitato scientifico formato da esperti del settore, giornalisti e gourmet.

C’è una domanda che tutti avrebbero voluto fare al celebre ospite. Il sindaco Attilio Fontana l’ha rivolta durante l’aperitivo a Renata Santin e poi, sul finale di serata, Filippo Brusa l’ha posta direttamente allo chef: si puo’ cucinare qualcosa che va contro il proprio gusto? E qual è l’ingrediente che Ezio Santin non sopporta?
«Le capesante. Mi sembrano inutili anche da cotte» ha risposto lo chef.

Michele Mancino
michele.mancino@varesenews.it

Il lettore merita rispetto. Ecco perché racconto i fatti usando un linguaggio democratico, non mi innamoro delle parole, studio tanto e chiedo scusa quando sbaglio.

Pubblicato il 21 Maggio 2015
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