I laureati non trovano lavoro. Liuc in controtendenza

Secondo il sistema statistico europeo Eurostat , solo un laureato su due trova lavoro in tre anni. Decisamente diverse le percentuali di Liuc. Il Rettore spiega le ragioni

Alan Friedman alla Liuc

La laurea in Italia non garantisce il lavoro. Il dato preoccupante è stato messo nero su bianco da Eurostat, l’indagine statistica che fotografa il mercato del lavoro a livello europeo.

Il nostro paese si colloca sul fondo della classifica ( migliore solo della Grecia) per i tempi di occupazione dei giovani laureati: il titolo italiano permette solo a un laureato su due di trovare impiego entro i tre anni contro la media dell’80,5% dell’Unione. Il dato scende in modo ancora più preoccupante, uno su tre, se si considerano i diplomati.

Il trend ha subito una brusca discesa soprattutto nel corso degli ultimi anni, legata alla crisi del lavoro che ha di fatto bloccato il mercato delle assunzioni.

Non tutti, però, hanno registrato risultati deludenti. L’Università Liuc di Castellanza non ha conosciuto crisi o problemi tant’è che, dai dati Alma Laurea sui risultati ottenuti nel 2015, vanta un tasso di occupazione dei suoi laureati del 90% nei tre anni successivi. In particolare si  parla del 92% dei laureati in economia, dell’81% in giurisprudenza e del 95,8% degli ingegneri. Una percentuale stabile stando all’andamento degli ultimi anni. Nel 2012 le statistiche indicavano il 93,2% per la facoltà di economia, il 95,7% per Ingegneria e il 75% per giurisprudenza.

« Probabilmente la performance si spiega anche con il carattere privato del nostro ateneo – commenta il Rettore Federico Visconti – perchè vengono curati con particolare attenzione i servizi a supporto dello studenti. Parliamo di internazionalizzazione ma anche di accompagnamento: il nostro ufficio placement ha compiuto vent’anni e vanta  5900 contati con aziende o studi professionali. Offriamo stage a 850 studenti quindi, considerato i nostri 2000 iscritti, garantiamo un’occasione a tutti».

federico visconti

Forse è proprio grazie a questi risultati che l’ateneo vede in costante crescita il numero delle matricole: « Siamo un’università improntata alle necessità del mondo economico. Viviamo a stretto contatto tant’è che abbiamo un laboratorio dove si studiano e sperimentano nuovi percorsi più rispondenti alle esigenze del settore del lavoro. Abbiamo quella flessibilità che ci consente di virare leggermente, pur nel rispetto delle regole ministeriali, che l’ambiente accademico pubblico non può concedersi».

Risultati lusinghieri legati anche al fatto che le tre facoltà siano abbastanza tecniche: « È vero che qui si creano figure necessarie al mercato economico, ma non dimentichiamo il surplus che,  livello nazionale, il sistema crea. Abbiamo ingeneri ma, guardando al numero dei laureati, non c’è certezza che si ottenga un lavoro facilmente».

Da più parti cresce la richiesta che il sistema universitario adotti qualche modifica: « Il dibattito è aperto sul ruolo e la funzione dell’università. Il modello italiano ha dei grandi pregi ma anche limiti. Sono convinto, però, che non si debba virare verso un approccio molto pratico che non permetta lo sviluppo del pensiero critico, che non insegni a scrivere relazioni e tesi, che non stimoli la profondità del ragionamento. È chiaro che occorrerà evolverci rispetto al passato e al suo percorso molto teorico dove il professore anziano veniva visto come un “guru”. L’università deve aprirsi al mondo esterno e relazionarsi, senza perdere le sue qualità formative. Coinvolgere manager in pensione perché trasmettano la loro conoscenza e cultura è fondamentale per aiutare i giovani a prepararsi».

A livello statistico, l’Italia segna anche il passo se consideriamo la percentuale di laureati: « C’è stato un periodo molto florido e ricco dove si pensava che portare cultura accademica ovunque e su qualsiasi tema avrebbe risolto il gap culturale. Così non è stato. E ora, a risorse decisamente limitate, si fa fatica a ragionare con parametri diversi e cedere una fetta del proprio sistema. L’unica soluzione, per il rilancio, è quello di cambiare prospettiva: passare dall’analisi dell’offerta all’ascolto della domanda. Io non posso sapere cosa occorrerà al mondo del lavoro tra dieci anni, ma so che devo stare con “le orecchie a terra” per ascoltare, interpretare e costruire le risposte alle domande future»

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Pubblicato il 08 Gennaio 2016
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