Il miracolo non è solo di chi lo riceve

Adele e Valter Schilirò sono stati protagonisti della serata della Fondazione San Giacomo raccontando la storia della guarigione del loro figlio Pietro

Busto generiche

“Il miracolo non è solo per la persona che lo riceve ma per tutti noi”. Adele Schilirò insieme con suo marito Valter sono stati protagonisti della serata della Fondazione San Giacomo a Busto Arsizio per il percorso Ti amo più della mia vita. Storie di famiglie intrepide.

Loro il miracolo lo hanno ricevuto per l’ultimo figlio, Pietro, nato quattordici anni fa all’ospedale di Monza con una gravissima malformazione polmonare. I medici non avevano dato alcuna speranza di vita al neonato invitandoli, se fossero stati cattolici, a battezzarlo subito. Il loro è un racconto toccante e in sala non vola una mosca. L’attenzione è grande e segue l’emozione dei due coniugi nel ripercorrere le tappe di quei giorni.

“Per noi è sempre una grande vertigine, una grande emozione raccontare la storia di Pietro. I sanitari anche dopo gli esami e una biopsia ci avevano comunicato che il bambino non aveva i polmoni completati. Ci eravamo preparati a celebrare il funerale. Quella notte non riuscivamo a dormire e abbiamo vegliato. Allora si è affacciata una grazia nel nostro cuore. Abbiamo iniziato a riguardarci dentro quell’immenso dolore, e con semplicità chiedevamo al Signore cosa dovesse essere del nostro Pietro”.

Il giorno dopo ci fu l’incontro con il primario che confermò l’imminente decesso del bambino.

“Solo allora abbiamo chiesto ai coniugi Martin di intercedere per noi chiedendo un miracolo per nostro figlio. Gli amici si sono uniti a noi per pregare insieme. Una preghiera che si è diffusa superando i confini. I giorni passavano ed era durissimo stare vicino a lui perché non potevamo nemmeno toccarlo. L’unica nostra azione era la preghiera e il canto. I medici ci comunicarono che la sofferenza del bambino era inutile, perché non c’era nessuna speranza di vita. Cercavamo di capire quale fosse il destino buono per Pietro”.

È proprio di quelle ore la lettura di una delle lettere di Santa Teresa che ha al centro il piccolo bambino. In quelle poche righe c’erano dei segni che indicavano ai coniugi Schilirò quanto la sofferenza di Pietro non fosse inutile.

“Davanti a questo il dolore restava identico, ma il cuore si aprì. La situazione del bambino a un mese dalla nascita era disperata e dopo una decina di drenaggi i medici ci chiamarono perché ormai era giunta l’ora della sua morte. Poi dopo tre giorni Pietro ha iniziato a migliorare fino a permettere ai medici di togliere addirittura i tubi e l’ossigeno. Noi non siamo genitori speciali. Abbiamo sperato contro ogni possibile speranza e ci siamo domandati mille volte perché a noi è accaduto un simile miracolo è agli altri no. Crediamo che attraverso Pietro il Signore ha parlato a tutti e non solo a noi e a nostro figlio”.

Il racconto di Adele e Valter passa dall’esperienza della guarigione del figlio a quella del senso della vita grazie alla fede.

“Quello che rende insopportabile il dolore è il non sapere il senso di quello che viviamo. L’essere insieme nelle mani del Signore è un grande sostegno. Per noi sono stati determinanti Zelia Guerin e Luigi Martin, genitori di Santa Teresa di Gesù Bambino, vissuti nel fine Ottocento. Erano una coppia normale. Persero quattro figli ma non persero la fede”.

Nel 2008, dopo anni di ricerche e approfondimento, Papa Benedetto dichiarò la storia di Pietro come un miracolo e da lì la beatificazione dei coniugi Martin.

“Da allora ci sono successe cose che non sapevamo come gestire. C’era gente che arrivava da noi per toccare il bambino. Fino a quando lui cambiò e scoprimmo che stava diventando sordo. Capimmo che anche questo era un segno che il bambino era tornato normale, e come gli altri si poteva ammalare. Era un segno che il miracolo ci poteva aiutare a comprendere quanto il Signore è parte della nostra vita. Della vita di tutti noi e non solo di quelli coinvolti direttamente”.

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 25 Febbraio 2016
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