Il tumore al seno non spenga la speranza
Storie di donne con mutazione genetica. La loro lotta contro il tumore e la gioia della maternità

Un tumore al seno non deve spegnere la speranza. Ne sanno qualcosa le partecipanti al congresso del II Gruppo di Lavoro di aBRCAdaBRA onlus, l’associazione nazionale che rappresenta le persone con mutazione genetica BRCA e i diritti delle donne predisposte al tumore al seno e all’ovaio.
C’era chi, come Nadine, ha ricordato la sua dolosa scelta di curarsi rinunciando a una nuova vita. E lo stupore quando quella vita stessa è stata talmente tenace da bussare di nuovo finita la chemioterapia. L’esito di una scelta sofferta ma meditata e consapevole che ha generato un buffo neonato con un ciuffetto nero ribelle sulla fronte.
C’era Valentina, sorpresa dal cancro a 26 anni con due figli: dopo le cure ne avrà ben altri 3.
C’era Ilaria che non si è mai ammalata ma ha perso tutte le donne della sua famiglia a causa della mutazione BRCA di cui lei stessa è portatrice. Mentre la madre stava morendo lei si sottoponeva a mastectomia preventiva e dopo 2 anni partecipa ai lavori congressuali, con un figlio di 40 giorni e una compagna che presenta al pubblico. L’ultimo step sarà l’asportazione delle ovaie.
C’era Ornella che ha intercettato il cancro allo scoccare dei 30 anni grazie ad assidui controlli autogestiti. La conferma della mutazione BRCA le consente di optare, risolutamente, per la mastectomia bilaterale. Poi la chemio, la perdita dei lunghi capelli e di una protesi. Un giorno, al termine delle cure, teme un tumore ginecologico che si rivela un feto cresciutello, riempendo i suoi occhi di lacrime di sorpresa.
C’era Marika, a cui il cancro-tsunami è insorto a 22 anni durante l’università.
C’era Valeria, alla seconda figlia dopo il cancro, che racconta dell’amica Piera che lotta per avere un figlio in adozione negato a causa del cancro.
C’era Rossella che scopre il cancro durante un’ecografia al primo mese. Un beffa di fronte alla quale si è dilaniata tra istinti potenti e conflittuali. Poi la scelta di farsi operare ed eventualmente dilazionare le cure di qualche settimana, a cui segue un aborto spontaneo. Al termine del percorso oncologico, con l’ok dell’oncologo, ci riprova a 40 anni senza troppe speranza. Il primo tentativo si traduce in una pupattola vezzosa che gorgheggia una specie di inno alla gioia.
E infine c’era Sara che non se l’è sentita di parlare. Il cancro l’ha sorpresa a 27 anni poco dopo aver dato alla luce la piccina bionda. Tardivamente altri sanitari la sottopongano al test genetico, cui risulta positiva sia lei che la madre. Quest’ultima riceve l’esito e contemporaneamente una diagnosi di tumore ovarico: non ha avuto l’informazione in tempo per asportare preventivamente organi ormai dormienti in menopausa. Madre e figlia oggi sono in IV stadio: metastasi.
Nulla è stato taciuto o censurato in questa narrazione di cancro, mutazione e maternità che trasmette commozione profonda. Emozioni che non annebbiano le risorse. Al contrario
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