Ex-Otago: “Anche a Marassi la terra è pop”
Maurizio Carucci, contadino nella vita e voce degli Ex-Otago racconta questo momento "magico" per la band. Stasera e domani sold out al Magnolia

«Per me sono la terra e il cielo. La mia, è una vita bellissima». Raccontare la nascita di un disco, a volte, significa parlare anche di terra da coltivare. Succede con Maurizio Carucci, contadino e voce degli Ex-Otago quando racconta della sua vita in Val Borbera e della nascita di “Marassi”, l’ultimo disco della band.
Il gruppo originario di Genova infatti, ha pubblicato dieci tracce che sono riuscite a parlare alla pancia della gente per i testi ironici e irriverenti e arrivare alle orecchie per il loro suono pop. «È la sintesi di ciò che abbiamo fatto in questi anni» spiega Maurizio Carucci.
Un album dedicato a Marassi, il quartiere dove la band è nata e cresciuta, che diventa il pretesto per fotografare una generazione e porre domande più profonde. È in quest’ultimo aspetto che si cela l’influenza della campagna, metafora degli aspetti più introspettivi del disco. Lontani dal cantautorato alla De Andrè che ci si può aspettare da chi respira l’aria ligure infatti, gli Ex-Otago hanno pubblicato un disco bello e contemporaneo.
Stasera e domani sono in concerto al Circolo Magnolia di Milano con un doppio sold a coronare un tour di successo in tutta Italie e poi, il primo maggio, saranno tra gli ospiti di Piazza San Giovanni a Roma.
Come state vivendo questo momento?
«Siamo felici e sentiamo di aver fatto una cosa bella. Questo è un album che è riuscito a parlare a molta più gente, rispetto ai precedenti. Le canzoni hanno un linguaggio pop e stiamo facendo un bel passaggio di consensi e popolarità, di ascolti e di presenze ai concerti. La stiamo vivendo benissimo e dopo anni di semina è arrivato il momento della raccolta, che è un sempre magico».
L’attenzione verso il panorama indie di questi ultimi anni pensi che in qualche modo l’ha aiutato?
«Certo, è un momento storico particolare per la musica dove vince ciò che piace, dove non ci sono distinzioni di genere e le radio hanno iniziato a considerare un più vasto panorama musicale rispetto a prima. Credo sia una cosa bella e meritocratica».
Come è nata l’idea di StraMarassi (la versione deluxe dell’album) e come avete scelto gli artisti che volevate per questo progetto?
«Tutto è nato con Jack La Furia. Ci ha chiamato dicendoci che era entusiasta del nostro album e si è proposto di fare qualcosa insieme e abbiamo inciso “Gli Occhi della Luna”. Da lì, le altre collaborazioni sono nate in modo naturale. Girando abbiamo incontrato amici e artisti che amiamo e abbiamo deciso di inserirli nel disco».
Quali tra le collaborazioni vi hanno sorpreso di più?
«Mi ha sorpreso quella con Mecna ma anche Willie Peyote. Eugenio Finardi mi ha stupito per il suo approccio al testo, cinico e immediato, insomma è stato molto forte far cantare a lui il pezzo “I giovani d’oggi” dove si prende anche delle colpe che non ha. E poi sono rimasto sorpreso dal remix di Coccoluto, bizzarro e coraggioso…».
Lasciare una propria canzone nelle mani di un altro è un atto di coraggio. Non avete avuto paura?
«Sì, assolutamente. Sapevamo che si trattava di un’operazione delicata, la canzone è una cosa intima ma noi abbiamo sempre coltivato l’arte della misticanza. Siamo stati contenti di accogliere e ospitare altri artisti in questo album e di fargli fare quello che volevano. Alla fine è andata molto bene».
Facciamo un passo indietro. Come è nato Marassi? Cosa volevi raccontare?
«È nato due estati fa dall’esigenza di raccontare il presente. Ci eccitava da matti esaltare e mettere ai piani più alti della fantasia il racconto delle nostre vite quotidiane e la sua normalità. Sappiamo che è lì, in una giornata qualunque, che ci sono le piccole cose che ci offrono la felicità. È per questo che abbiamo voluto raccontare Marassi, il quartiere dove siamo nati e cresciuti e dargli un’importanza che non ha mai avuto».
La tua felicità oggi è però data anche dalla coltivazione della terra, so che vivi in una cascina in Val Borbera e fai il contadino. È un aspetto che ha influenzato l’album?
«Senza dubbio è un aspetto che ha influenzato l’album. Da una parte c’è il racconto di una super urbanità e il racconto di una quotidianità contemporanea estrema, per alcuni aspetti. Dall’altra la natura e la ricerca di qualcosa di più profondo che ti mette a contatto con diversi aspetti di te e con domande sul senso della vita e della morte, sul senso che il lavoro ha per gli esseri umani e sulla società in generale».
Come unisci questi due aspetti, quello di contadino e di musicista? Sembrano essere uno l’opposto dell’altro…
«In realtà sono meno distanti di quanto si pensi. Il mio lavoro di contadino, anche se sono dimagrito di dieci chili, mi rende molto felice e per me rappresenta la terra. Così come mi rende felice la musica, ovvero il cielo, la parte più creativa. Sono felice quando mi sveglio e devo partire per il tour, così come quando mi sveglio in mezzo agli alberi, una catena di montagne stupende davanti e il mio cane che abbaia per darmi il buongiorno»
C’è una domanda che vorresti che ti facessero ma ancora nessuno ti ha fatto?
«Diciamo che, in genere, mi piacerebbe che non ci si fermasse alla superficialità delle cose».
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