Le donne non si tutelano riaprendo le case chiuse
Di Pier Fausto Vedani
Le mie nonne, storie personali e culture diverse ma ben radicate nell’800, trovavano momenti e spunti perfetti per indirizzare l’attenzione dei loro viziatissimi nipotini anche sull’importanza delle donne e degli anziani nella vita dei gruppi famigliari. Non sarebbero venuti meno questi insegnamenti anche anni dopo, in particolare quando noi giovani ci si apprestava a “fare famiglia”; inoltre da parte delle vigili nonne in qualche occasione sarebbero anche arrivati pensieri e parole per situazioni di vita ben diverse, per esempio nei confronti delle donne che “facevano la vita”, da loro, cattolicissime, mai disprezzate ma considerate creature tra le più sfortunate.
Furono tutti semi di un quieto, timido femminismo, della necessità di più svolte nell’ambito del secolare dominio dei maschi , svolte oggi ancora pagate duramente se non negate. O rinnegate come è accaduto in ambito leghista dove addirittura chi pensa da leader ha accennato alla necessità di riaprire le case di tolleranza, uno dei peggiori lager dove, sino al 1958, del tutto e con il patrocinio dello Stato, veniva tolto l’ultimo briciolo la libertà alle donne più sfortunate.
Sentire accenni di ipotesi di riapertura delle “case chiuse” mentre oggi vengono perseguitate o addirittura uccise tante giovani o fidanzate o mogli che agli uomini chiedono il rispetto del loro diritto alla vita, decisamente crea sdegno e malinconia.
Anche tra i ventenni e oltre di allora, al bar o all’Università, si discuteva la legge presentata dalla parlamentare socialista Merlin sulla chiusura delle case chiuse e sulla tutela giuridica delle donne che avevano fatto o facevano la vita. Grazie alle nonne scelsi il percorso giusto che anni dopo mi si confermò anche umanamente perfetto. Suddivisi in più turni per i cronisti c’erano ogni giorno 5-6 “giri di cronaca”, fatti di persona o telefonici , per raccogliere o controllare notizie presso le fonti ufficiali. Il turno di mezzanotte a Como prevedeva il ”salto” nella sede della Questura vicinissima al giornale.Nell’occasione mi capitava di incrociare donne appena sbarcate dalla jeep usata dagli agenti per i controlli esterni. Una sorta di frequente conoscenza indiretta alla quale non mi sottraevo mai salutando con un tranquillo “Buonasera”.
Una di loro una sera mi fermò e mi chiese spiegazione del saluto che era normale, non aveva nulla di irridente. Dissi la verità, le nonne mi avevano insegnato a capire e rispettare tanta sfortuna.Non avrei mai dimenticato il lampo di commozione sul viso della donna.
Il tempo, la passione per la lettura e il teatro avrebbero favorito altri miei incontri con il mondo di queste vittime del destino:un percorso lungo da “La professione della signora Warren” di G.B. Shaw a Mama Rosa, la tenutaria della “casa” di Luino, raccontata dal nostro scanzonato e indimenticabile Piero Chiara quasi la Mama fosse stata davvero una maestra di vita per generazioni di luinesi e di confinanti rossocrociati.
Racconta Chiara che prima di morire Mama Rosa volle il prete. Arrivò ed entrò nella casa con le dovute cautele, addirittura il parroco. Mama Rosa lo salutò con parole di una lingua confidenziale come il dialetto e che nulla avevano di una irridente statistica. Le davano invece la certezza di essere avviata su un percorso di redenzione: “Qui mancavi solo tu!”
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