Steve Jobs è più amato di Jim Morrison
La Silicon Valley non è replicabile in altri contesti "perché c'è una componente di sentire culturale che attrae un certo tipo di persone in grado di reinventarsi ogni volta"
“Se andate sulla tomba di Steve Jobs ci sono più fiori e dediche che su quella di Jim Morrison alPère-Lachaise di Parigi”. Enzo Carone, ricercatore dello Slac di Menlo Park, centro d’accelerazione lineare di Stanford, laboratorio strategico del dipartimento dell’energia degli Stati Uniti d’America, nella presentazione della Silicon Valley e della sua evoluzione, non poteva dimenticare il padre della Apple.
La ragione non è solo storica o didascalica, ma ha a che fare con un aspetto cruciale che Carone sintetizza così: “La Silicon Valley non è replicabile in altri contesti perché c’è una componente di sentire culturale che attrae un certo tipo di persone in grado di reinventarsi ogni volta”. Jobs era uno di questi tipi umani profondamente identificato con la Silicon Valley , portatore di discontinuità creative, favorevole al cambiamento. “Qui c’erano le condizioni ideali – spiega Carone – perché un determinato tessuto sociale si sviluppasse in quella direzione”.
Le caratteristiche che rendono la Silicon Valley unica nel suo genere sono quattro: l’esistenza di clusters che permettono all’imprenditorialità di fiorire (in due ore e con 200 dollari crei una startup), un mercato del lavoro propenso a rischiare e a cambiare, una governance delle Startup che fa leva sull’equity e la partecipazione al capitale, un’università come Stanford che é un brand potentissimo, fucina di idee e di nuovi imprenditori.
La Silicon Valley non è un paradiso. Qui c’è una competitività esasperata è tutto ciò che è distruptive porta con il cambiamento anche molto dolore. “Il motto di John Hennessy – sottolinea Carone- è “Qui vogliamo rendere il mondo un posto migliore”. Posto che Hennessy, per molti anni a capo di Stanford, è una persona straordinaria, resta il fatto che il passaggio da una vecchia ad una nuova economia è intriso di cinismo”.
HA ANCORA SENSO CHIAMARLA SILICON VALLEY?
Enzo Carone elenca una per una le trasformazioni avvenute nella Bay Area. Originariamente si facevano radar per la Marina militare e si studiavano le radiofrequenze, poi si è passati alla produzione di circuiti integrati e negli anni ’80 c’è stata l’era dei personal computer. “Ora non so più che cosa è – conclude Carone – forse è tante cose insieme: applicazioni, sharing economy, connettività“.
Nulla si crea, nulla si distrugge ma tutto si trasforma. Forse il primo principio della termodinamica vale anche per la Silicon Valley. Domenico Di Mola, Vice Presidente di Juniper Network, che della Bay Area ha vissuto le principali trasformazioni, è convinto che il nome Silicon sia da archiviare perché non identifica più nulla se non un passato ormai quasi remoto. “Chiamatela piuttosto Software Valley – dice Di Mola – e in un domani non troppo lontano Application Valley”.
Le traiettorie sono già ben chiare agli innovatori della zona, come Juniper Networks, società multinazionale fondata nel 1996 che si occupa di Information and Communication Technology e di tecnologie di rete, con quartier generale a Sunnyvale, in California. Una realtà da 5 miliardi di dollari di fatturato, 9.300 dipendenti ed una presenza in 43 paesi, compresa l’Italia dove Juniper ha clienti come Telecom Italia e Wind, oltre ad uffici a Milano.
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