Quando la Clarina vendeva i giornali in stazione

In una delle storie postate nel nostro gruppo Facebook Varesini all'estero, l'artista Sergio Michilini che oggi vive in Nicaragua racconta la sua infanzia nella stazione di Cavaria

Generico 2018

Da qualche giorno abbiamo aperto un gruppo Facebook dedicato ai Varesini all’estero. L’idea nasce da un nostro articolo in cui raccontiamo che ci sono oltre 53mila persone che sono usciti dalla nostra provincia e oggi vivono in ogni posto del mondo.

Sergio Michilini ha postato un video dove con il nostro direttore raccontava la sua storia nel periodo in cui viveva nella stazione di Cavaria. Oggi l’artista varesino vive a Managua, capitale del Nicaragua.

Riprendiamo un vecchio post di dieci anni fa dove racconta quegli anni.

Ho vissuto la mia infanzia e adolescenza nel Casello della Stazione ferroviaria di CAVARIA-OGGIONA-JERAGO intorno agli anni ’60: mio padre era ferroviere e io lì ho incominciato a dipingere verso i 13 o 14 anni. Lì ho avuto il mio primo Studio bohemio, con tanto di stufetta a legna, cavalletto, colori, libri e un giradischi che di notte facevo andare a tutto volume, sognando la vita, l’Arte, Modigliani e Montmartre.

La Stazione di CAVARIA-OGGIONA-JERAGO era una specie di paradiso, un microcosmo di cose e di persone belle. Nella Stazione ci vivevano, al primo piano, i due capistazione con le loro famiglie; e poi c’erano un paio di manovali che facevano di tutto, e il magazziniere per le merci e altro.
Insomma, della Stazione di Cavaria ci vivevano 5 o 6 famiglie.

La Stazione era pulita, bella, piena di fiori, di fontanelle e c’era pure la vasca con i pesci rossi.
L’orto dei capistazione e il nostro, quello del Casello, era pieno di tutto: frutta e verdura di tutti i tipi, ovviamente uva, ma anche di conigli e galline ecc.
Nella Stazione ci viveva, in parte, anche la famiglia della giornalaia “Clarina”, che tutte le mattine installava la vendita dei giornali sul tavolo della Sala d’Aspetto (per un certo periodo anche io ho venduto lì i giornali, forse è stato il mio primo lavoro).

Mio padre era Caposquadra, con sei o sette operai, che lavoravano sui binari tra Gallarate e Castronno.
La ferrovia, le “scarpate”, i ruscelli ai lati dei binari e tutto il resto, in questi più o meno 10 chilometri, erano una specie di Parco Nazionale: una bellezza di tecnologia integrata alla natura. Anche i treni avevano quell’autorevole colore ossido che sembravano uscire dalla terra ed erano tutt’uno con il tono dei sassi, le traverse e i binari che serpeggiavano lungo la Valdarno lombarda.
A pensarci bene, se ci mettiamo insieme anche i casellanti dei Passaggi a Livello e il personale delle Stazioni di Albizzate e di Castronno, di questa tratta ferroviaria ci vivevano allora una ventina o forse una trentina di ferrovieri con le loro famiglie, che si ritrovavano spesso, come nei festeggiamenti di Capodanno, o per tagliare le robinie o in altre occasioni, ed era una festa di fratellanza e solidarietà umana.

Tutti erano orgogliosi di lavorare per le Ferrovie dello Stato, anche le mogli e noi figli.
E i nostri padri lavoravano duro e sempre, non avevano orario, giorno o notte al servizio dei treni e dei passeggeri: quando nevicava, c’era da pulire gli scambi e i marciapiedi e spargere il sale prima del primo treno delle 5 e venti, e poi gli stessi ferrovieri aiutavano a salire e a scendere i passeggeri dai treni, principalmente gli anziani perché non scivolassero. Oppure quando c’era la nebbia e c’era da passare le notti nella “garitta” per mettere i petardi, e anche noi bambini a volte passavamo queste notti con la stufetta a legna, la lampada al carburo, in mezzo alla nebbia, all’inquietante silenzio e ai fantasmi.

Ricordo che spesso mio padre passava nottate di allarme per questioni atmosferiche o altro, e che spesso allertava anche i suoi operai, o passava le serate a scrivere a mano i “rapporti” per il Sorvegliante, che era il suo capo e che stava a Varese: mio padre aveva una assoluta e totale devozione e rispetto per il Sorvegliante.

La Stazione di CAVARIA-OGGIONA-JERAGO era piena di fiori, c’erano i pesci rossi e d’inverno i manovali andavano ad accendere la stufa a legna della Sala d’Aspetto una ora prima del primo treno per creare un ambiente caldo e accogliente per i primi pendolari.
Era piena di vita, di amore, di lavoro e di rispetto per l’uomo, per la natura, per le cose, per i passeggeri e per i treni la Stazione di CAVARIA-OGGIONA-JERAGO e, insieme alla piazza della Chiesa e ai giardini di Cavaria, era un punto di ritrovo, di passeggio serale e domenicale per le famiglie, per i ragazzi , per i giovani e per gli anziani.

Il post di Sergio prosegue con una serie di critiche allo stato della stazione, ma si riferisce alla situazione di nove anni fa. Per chi volesse leggerlo tutto lo può trovare qui.

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 24 Dicembre 2018
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