Chi ci guadagna e chi perde con “quota 100”

Il presidente dell'Inps Tito Boeri ha tenuto un'audizione al Senato sulla riforma pensionistica. Il trattamento verrà erogato a 650mila persone in tre anni. « Il grosso del costo di “quota 100” graverà sulle generazioni future»

pensioni inps

Il presidente dell’Inps, Tito Boeri, ha tenuto una audizione al Senato sulla riforma delle pensioni voluta dal Governo Lega e M5S. Boeri si è concentrato sugli effetti distributivi della riforma, facendo un quadro relativo a chi ci guadagna e chi ci perde con l’introduzione della cosiddetta “quota 100” e l’avvio del reddito di cittadinanza. Ha inoltre spiegato come l’Inps si è preparata per queste nuove sfide e come sta gestendo le prime fasi di attuazione della normativa.

EFFETTI DISTRIBUTIVI
Secondo Boeri, ci sono tre ordini di misure che hanno un forte impatto distributivo: le norme che consentono alle generazioni 1953-59 di andare in pensione alla maturazione di 38 anni di anzianità contributiva e 62 anni di età; il reddito e la pensione di cittadinanza e, infine, le varie disposizioni che consentono di condonare i mancati versamenti contributivi e di assicurare ex-post periodi in cui non sono stati versati contributi previdenziali.

Nel caso di pensionamento a 62+38 la cosiddetta “quota 100”, i principali beneficiari di queste misure sono i lavoratori con lunghe carriere contributive che appartengono alle classi 1957, 1958 e 1959. Potranno, infatti, andare in pensione fino a 5 anni prima che a legislazione previgente. Più di un quinto dei beneficiari è rappresentato da lavoratori dipendenti o autonomi maschi e residenti al Nord. Più di un terzo dei beneficiari sono concentrati anche fra i dipendenti pubblici, presenza che ne rende la distribuzione sul territorio più bilanciata, dato che il 50% dei beneficiari provenienti dal settore privato sono residenti al Nord. 

I principali beneficiari hanno importi medi delle pensioni di 30.000 euro all’anno, un dato che accomuna dipendenti pubblici e privati in modo largamente indipendente dalla regione di residenza (il che rende più appetibile l’uscita anticipata per chi risiede al Sud, dove il costo della vita è più basso).

CHI PAGHERÀ PER QUESTI BENEFICI
Questo trattamento privilegiato concesso a circa 650.000 persone nel giro di tre anni viene coperto da una riduzione della spesa pensionistica. Il grosso del costo di “quota 100” graverà comunque sulle generazioni future. Il debito implicito del sistema pensionistico è destinato ad aumentare: nel caso in cui le misure non fossero rinnovate al termine del periodo di sperimentazione, l’aumento del debito implicito sarebbe di circa 38 miliardi di euro. Se queste misure, invece, diventassero strutturali, l’aumento lieviterebbe a più di 90 miliardi. (Fonte Inps)

CHI BENEFICERÀ DEL REDDITO DI CITTADINANZA
La categoria dei single rappresenta più del 55% dei nuclei beneficiari. Con il reddito di inclusione invece nel 2018 erano solo un quarto dei beneficiari. Questa concentrazione è dovuta alla scala di equivalenza adottata dal reddito di cittadinanza che riduce il beneficio in termini di benessere economico personale per i nuclei con figli o comunque numerosi, quelli dove si registrano i tassi di povertà più elevati. Secondo l’Inps, il problema è che questa misura fissa un livello di prestazione molto elevato per un singolo e quindi, per esigenze di contenimento della spesa, adotta scale di equivalenze restrittive ed un tetto molto basso. Il livello di prestazione elevato per un singolo ha come ulteriori controindicazioni il fatto di rischiare di spiazzare i redditi da lavoro. Secondo i dati Inps, infatti, quasi il 45% dei dipendenti privati nel Sud Italia ha redditi da lavoro netti inferiori a quelli garantiti dal reddito di cittadinanza a un individuo che dichiari di avere un reddito pari a zero.

Secondo le stime dell’Inps circa il 30% dei percettori del reddito di cittadinanza riceverà un trasferimento uguale o superiore a 9360 euro netti. Il valore mediano della distribuzione dei trasferimenti è attorno ai 6000 euro. Tutto questo fa pensare che gli effetti di scoraggiamento al lavoro siano rilevanti. (Fonte Inps)

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 05 Febbraio 2019
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