Riprendono gli scavi alla chiesetta di San Biagio

A lavorare, fino a metà luglio, sotto gli occhi dei cittadini e dei curiosi saranno gli studenti di Biotecnologie e Scienze Biologiche, con Ilaria Gorini,

scavi al cimitero

Dal 25 giugno riprendono gli scavi e gli studi dei resti umani del cimitero medievale e post medievale della chiesa di San Biagio a Cittiglio, a conclusione di una campagna avviata a fine 2018 dall’Università dell’Insubria e coordinata da Marta Licata, del Dipartimento di Biotecnologie e scienze della vita diretto da Luigi Valdatta.

A lavorare, fino a metà luglio, sotto gli occhi dei cittadini e dei curiosi saranno gli studenti di Biotecnologie e Scienze Biologiche, con Ilaria Gorini, direttore del Centro di ricerca in Osteoarcheologia e Paleopatologia, e Chiara Tesi, dottoranda di ricerca in Medicina clinica e sperimentale e Medical Humanities. Le indagini sono concentrate in questa fase su una grande fossa ossario, estesa per circa 2 metri per 1.5, nella zona orientale del sagrato antistante la chiesa.

Spiega Marta Licata: «Tale fossa è l’esito di una traslazione di elementi ossei da una precedente deposizione primaria e di una attività di bonifica antica dell’area cimiteriale, per rispondere alla necessità di nuovi spazi sepolcrali. Un ossario costituisce infatti una sepoltura di tipo secondario, in quanto segue la decomposizione del cadavere precedentemente avviata altrove, e rappresenta una attività secondaria di deposizione definitiva dei resti».

Lo scavo, che avviene in estensione e per strati orizzontali, richiede molto impegno nella rimozione delle ossa per la loro fragilità e per la stratificazione degli elementi, a causa della grande quantità di materiale prelevato e per le diverse fasi di registrazione, numerazione, documentazione e rilievo. Aggiunge Licata: «Lo scavo di un ossario, che comprende elementi ossei commisti, frammentati e per lo più non in connessione anatomica, necessita inoltre di alcune accortezze che permettono di comprenderne i processi di formazione e di individuare eventuali relazioni tra gli elementi ossei. Per questo motivo le ossa prelevate devono essere preventivamente numerate e l’area di scavo suddivisa in quadranti, di modo che ogni elemento asportato sia identificato da un riferimento e sia attribuibile a una specifica localizzazione all’interno dell’accumulo. Solo in questo modo si possono identificare compatibilità tra le ossa, ricostruire articolazioni anche quando queste non sono mantenute in modo stretto ma caratterizzate da lassità o da disconnessione».

A breve si riaprono anche le indagini archeobiologiche nel sito di Sant’Agostino in Caravate, a cui collaboreranno, soprattutto per i risvolti antropologici, gli studenti di Scienze e tecniche della comunicazione del corso di Andrea Spiriti in Archeologia, Storia dell’arte e Topografia dall’Alto Medioevo all’Età Moderna.

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 24 Giugno 2019
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