Le criptovalute tra speculazioni, beni rifugio e stabilità

La più celebre è il Bitcoin. Gli esperti non si sbilanciano sulla sua natura di bene rifugio ma c'è anche chi inizia a pensare alla valuta digitale come elemento per ridurre i rischi del sistema

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Circa un anno fa, l’area finanza dell’Unione degli industriali della provincia di Varese organizzò nella sede di Gallarate un incontro dedicato alle criptovalute a cui partecipò Christian Miccoli, ceo di Conio.com, piattaforma italiana di Bitcoin trading. Ben consapevole della diffidenza dei risparmiatori verso questa forma di investimento, per l’estrema volatilità della stessa, il manager non cercò di convincere la platea del contrario, ma affrontò l’argomento immedesimandosi nel potenziale investitore. Il suo consiglio fu dunque il seguente: «Non siate diffidenti, ma siate prudenti».

Il messaggio era chiaro: non dovete investire tutti i vostri risparmi in criptovaluta, Bitcoin o Ethereum che sia, ma solo una piccola parte. «Basta  l’1,5% del portafoglio» disse Miccoli. Secondo il manager, nonostante la loro natura volatile e speculativa – che non significa illegale – ciò che conta nelle criptovalute è la loro capacità di moltiplicare enormemente l’investimento iniziale e soprattutto il loro essere scollegate dal sistema finanziario ortodosso. Aspetto, quest’ultimo, che metterebbe al riparo il risparmiatore dai rischi di default del sistema stesso, caratterizzato da un enorme debito pubblico e da tensioni socioeconomiche non controllabili. In buona sostanza si inquadrava un po’ forzatamente il Bitcoin nell’ambito dei beni rifugio, al pari dell‘oro o della valuta svizzera. 

Il “Sole 24 ore” dell’8 agosto scorso, con un taglio basso, ha pubblicato un articolo dal titolo “Sorpresa, il Bitcoin è correlato al lingotto” a firma A.F.D in cui si evidenzia che negli ultimi mesi il prezzo del Bitcoin e quello dell’oro tendono a crescere allo stesso modo. L’autore non si sbilancia sulla motivazione sottostante questa correlazione –  e fa bene, perché è difficile dimostrare la natura di bene rifugio del Bitcoin –  ma si limita a evidenziare un fatto oggettivo che tra l’altro perdura da tempo.

Due settimane dopo, il quotidiano economico di Confindustria ha pubblicato, questa volta con taglio alto e su quattro colonne, un articolo di Riccardo Sorrentino dal titolo “Carney: super valuta digitale contro l’egemonia del dollaro“, in cui si prendono in considerazione le proposte che il governatore della Bank of England ha fatto a Jackson Hole (Usa) durante il simposio annuale della Fed a cui partecipano le banche centrali di tutto il mondo. Il numero uno della banca d’Inghilterra sostiene infatti che una criptovaluta, come per esempio quella proposta da Facebook, cioè Libra, potrebbe rompere il duopolio costituito dalla moneta americana e da quella cinese e fungere da stabilizzatore per tutte le altre. Carney in quella occasione ha inoltre avanzato l’ipotesi che questa valuta possa avere una natura pubblica, cioè possa essere realizzata da una rete di banche centrali.

Questi due interessanti articoli del “Sole 24 ore” innescano altrettante riflessioni a proposito della natura delle criptovalute. La prima riguarda le ragioni della loro nascita: non tutte nascono con la stessa motivazione e con gli stessi obiettivi. Quindi ammettendo anche che ci sia una ragione sottostante antisistema, non possiamo dire con certezza che i Bitcoin siano nati con la funzione di bene rifugio. E allo stesso tempo ciò non esclude che si possa creare una valuta virtuale per stabilizzare il sistema stesso, come ha sostenuto Mark Karney a Jackson Hole. La seconda riguarda l’unico elemento in comune che hanno tutte le criptovalute, qualunque sia lo scopo per cui esse sono state create: la tecnologia che le governa, la cosiddetta blockchain.

All’incontro di Gallarate era presente anche Marco Pesani, direttore di sviluppo di prodotto di Conio.com, il quale spiegò con chiarezza che la valuta digitale è un grande database impossibile da contraffare e in grado di tenere in memoria tutte le transazioni avvenute al suo interno. Disse Pesani: «È la tecnologia sottostante della blockchain ad accumunare le varie criptovalute esistenti nel mondo del web. Si tratta di una community, dove lo scambio di valore avviene su una condivisione di fiducia, dove a fare da garante di ogni singolo operatore è l’assenza di intermediari. Tutti controllano tutti a vicenda».

Michele Mancino
michele.mancino@varesenews.it

Il lettore merita rispetto. Ecco perché racconto i fatti usando un linguaggio democratico, non mi innamoro delle parole, studio tanto e chiedo scusa quando sbaglio.

Pubblicato il 27 Agosto 2019
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