La regista argentina Irianni porta la storia di Vera Vigevani tra gli studenti varesini

Gli studenti dell’Istituto Daverio Casula Nervi di Varese hanno assistito martedì 17 dicembre alla proiezione del documentario “Vera”, e per l’occasione hanno potuto conoscere la regista argentina Manuela Irianni

Vera Vigevani

Nata in una famiglia ebrea, Vera Vigevani era una bambina quando nel 1938 è fuggita dall’Italia a causa dalle leggi razziali. Migrata in Argentina, Vera ha costruito lì la sua nuova vita, si è sposata e ha avuto una figlia: Franca. A causa del suo impegno sociale però, Franca finisce nella lista nera della dittatura civile-militare argentina, viene rapita e poi uccisa dal regime a soli 18 anni.

Sfuggita alla Shoah e madre di Plaza De Mayo, Vera Vigevani è la protagonista di “Vera”, il documentario della regista argentina Manuela Irianni, che martedì 17 dicembre è stato proiettato di fronte alle classi quinte dell’Istituto Daverio Casula Nervi di Varese. Alla proiezione organizzata da “Progetto zattera” ha partecipato anche la regista del documentario, che si è messa a disposizione per rispondere alle domande degli studenti.

Da sempre a fianco delle altre madri di Plaza De Mayo per ottenere giustizia per i 30 mila desaparecidos, Vera Vigevani da anni si impegna a trasmettere con lucidità, energia e passione la propria testimonianza, nella speranza che crimini come la Shoah e i rapimenti del regime argentino non si ripetano mai più.

La storia di Vera Vigevani è quindi segnata da due genocidi, ma prima che tutto questo si verificasse, Vera è stata soprattutto una migrante. «Vera – ha raccontato la regista Manuela Irianni – aveva solo dieci anni quando è scappata da Milano e si è imbarcata per l’Argentina. Per questo motivo è molto sensibile anche alle tragedie che si verificano nel Mar Mediterraneo e che vedono come protagonisti i nuovi migranti».

Vera ha infatti lasciato l’Italia nel 1938 insieme a tutta la sua famiglia ad eccezione del nonno Ettore Felice Camerino. Antiquario originario di Venezia, Ettore ha sempre pensato che l’odio verso il popolo ebraico non si sarebbe mai spinto fino allo sterminio. Quando però il clima è diventato più teso, Ettore ha deciso di fuggire verso la Svizzera, ma catturato sul confine a Lavena Ponte Tresa, è stato incarcerato a Varese e poi deportato al campo di concentramento di Auschwitz.

«I regimi dittatoriali – spiega Vera Vigevani intervistata all’interno del documentario – possono compiere apertamente fatti così terribili perché riescono a trasformare gli stereotipi della “vittima” e del “carnefice”. La vittima diventa un ladro, un criminale, una persona malvagia. Il carnefice indossa i panni dell’eroe e di colui che lotta per difendere la razza».

Ormai cittadina argentina a tutti gli effetti, nel 1976 Vera Vigevani ha dovuto attraversare un altro evento tragico: i rapimenti da parte della dittatura argentina. Sua figlia Franca è infatti finita nella tra le persone considerate pericolose per l’autorità del regime civile-militare. Franca è sempre stata attenta ai temi sociali, e ha preso parte all’occupazione della sua scuola in difesa del preside, che era stato allontanato dal regime. All’età di 18 anni, Franca viene rapita dal regime, e dopo alcune settimane di detenzione viene fatta salire su “volo della morte”.

«Questo documentario – ha commentato la dirigente scolastica Nicoletta Pizzato – e l’incontro con il suo regista sono un’occasione straordinaria per avvicinare i ragazzi alla storia. Vera Vigevani si sta impegnando per raccontare la sua voglia di vivere attraverso la testimonianza del male che lei stessa ha sofferto».

«Quello che mi ha colpito di Vera – ha raccontato Manuela Irianni – è stata la sua lucidità e la sua energia nel voler trasmettere la sua storia. Mi ha emozionato anche la sua capacità di mediare di fronte a una personalità come la cancelliera tedesca Angela Merkel, proprio mentre si trovava a fianco del fiume dove sono stati uccisi migliaia di giovani oppositori del regime argentino».

Manuela Irianni ha deciso di girare “Vera” dopo aver prodotto una serie di otto documentari che ripercorrono la storia di otto dittatori. «Con questo film – ha fatto sapere la regista – ho voluto mostrare ai ragazzi che non è necessario avere alle spalle grandi case di produzione quando si vuole girare un film. Se si vuole trasmettere un messaggio con una pellicola non bisogna avere paura e si può dare vita a un ottimo lavoro anche con pochi mezzi».

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Pubblicato il 18 Dicembre 2019
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