I cinquant’anni di Arijan Komazec

Il campione croato sbarcò a Varese nel 1993 e si dimostrò subito un marziano per il campionato italiano e fu un idolo assoluto per i tifosi nei suoi tre anni in biancorosso

komazec

Arijan Komazec ne fa cinquanta. Anni, ed è bene specificarlo, perché nella sua carriera cestistica il giocatore croato – nato a Zara il 23 gennaio del 1970 – ha spesso viaggiato intorno a quelle cifre, nel senso di punti segnati. Il suo record in Serie A è addirittura superiore: ne mise ben 51 infatti il 3 dicembre del ’95 contro l’Illy Trieste, quando ormai vestiva la maglia della Virtus Bologna.

Komazec, però, sotto le Due Torri è ricordato in maniera controversa: forte, a tratti fortissimo, ma con quel fardello insopportabile di dover sostituire per due anni Sasha Danilovic, momentaneamente emigrato in NBA. Per rimpiazzare lo zar, la Virtus scelse Arijan e l’addio da Varese non fu indolore: se ne andò un po’ alla chetichella e in molti glielo rinfacciarono al suo ritorno da avversario a Masnago. Quel giorno il croato ne fece 19, ma Bill Edwards, dalla parte opposta, ben 34.

Quel divorzio però, a Varese, è messo nelle cose da dimenticare. La città e i suoi tifosi tengono ben più vivo il ricordo della parte bella della storia d’amore tra un giocatore predestinato e una società gloriosa che necessitava di tornare in alto. Era l’estate del 1993, Komazec aveva già al collo un oro mondiale, un titolo europeo e un argento olimpico (Barcellona ’92 con la Croazia, in quintetto contro il Dream Team insieme a Petrovic, Kukoc, Radja e Vrankovic…) ma era legato da un contratto con il Panathinaikos, in un ambiente che lo faceva sentire in gabbia.

Lì arrivò il fiuto di Tony Cappellari: Varese era in A2, veniva da una stagione disastrosa (doveva essere la riscossa dopo la retrocessione, finì in un fallimento) e stava ricostruendo la squadra affidandosi ai giovani. Ci fu il lancio di Meneghin, la conferma di Paolo Conti, il rientro di Dacio Bianchi. E poi ci fu l’arrivo in prestito di un marziano, Arijan Komazec appunto: 1.042 punti in 33 partite, 31,6 di media con il 70,3% da 2 punti e il 50% dall’arco dei (allora) 6,25, con anche 6,3 rimbalzi e 2,5 assist a completare l’opera. Per suggellare il tutto arrivarono un canestro incredibile contro Forlì da oltre 20 metri, la vittoria della A2 e i playoff scudetto facendo tremare la Fortitudo Bologna. Numeri pazzeschi, un amore sfrenato da parte del pubblico, una bomba atomica lanciata sul tavolo della Serie A.

L’incredibile, però, avvenne l’anno seguente: al debutto nella massima categoria, Komazec fece ancora meglio, chiudendo la stagione a 33,2 punti di media (segnò, quindi, più che nel campionato minore!) con percentuali realizzative ancora irreali (68,6 e 46,4) grazie a un favoloso gioco senza palla, che gli permetteva di trovarsi nel punto giusto e al momento giusto per colpire. In quella Cagiva disegnata da Dodo Rusconi, era intanto arrivato un playmaker giovane e sfacciato: Gianmarco Pozzecco, destinato in qualche modo a prendere il posto di Arijan nel cuore dei tifosi dopo l’addio del croato (e sempre accanto ad Andrea Meneghin, naturalmente). Insomma, furono gettate le basi dello scudetto del ’99, basi rese ancora più solide proprio dal ritorno di Komazec in biancorosso.

Già: avvenne nell’autunno del 1997, perché l’ala straniera – l’ucraino Oleksander Lochmanchuk – si infortunò seriamente al ginocchio dopo poche partite. Komazec era libero, dopo aver chiuso il biennio bolognese e disse sì alla proposta della Pallacanestro Varese, già affidata a Charlie Recalcati. Per lui, ancora, 18,1 punti con il 65,5 e il 48,5%. Quella squadra arrivò a un passo dalla finale scudetto, si classificò terza e conquistò l’accesso all’Eurolega per l’anno successivo. In estate, il croato andò all’Olympiacos e ai Roosters arrivò il connazionale Veljko Mrsic, pronto a scrivere la storia con il resto della banda biancorossa.

Komazec ripassò poi dall’Italia, ad Avellino, negli anni successivi, ma non era più quel marziano atterrato al “Lino Oldrini”, un po’ per l’età e un po’ per una testa che non seppe reggere del tutto l’impatto di quel corpo, di quel talento e di quelle mani magiche che attirarono su Arijan, fin da giovanissimo un’attenzione particolare (ricordiamoci che la Croazia aveva tragicamente perso, nel giugno ’93, il fenomenale Drazen Petrovic). Talvolta però, Arijan torna da queste parti: è accaduto anche nel marzo 2018 quando fece capolino all’allenamento della Openjobmetis. E ogni volta che si parla di lui, chi lo ha visto giocare in maglia Cagiva non può che avere un sussulto al cuore. Auguri, marziano.

Damiano Franzetti
damiano.franzetti@varesenews.it

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Pubblicato il 23 Gennaio 2020
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