Fausto Coppi e il 2 gennaio 1960: sessant’anni fa il grande airone ha chiuso le ali
Scomparve per una malattia contratta in Burkina Faso. Dopo decenni il mito è ancora vivo
L’hanno ricordato mostre e pedalate su e giù per l’Italia, nuovi monumenti e libri. Un anno – il 2019 – guardando al secondo giorno del 2020, al sessantesimo del 2 gennaio 1960, quando morì Fausto Coppi.
“Il grande airone ha chiuso le ali”, scrisse quella livida mattina di gennaio Orio Vergani, gran maestro del giornalismo sportivo di allora. Coppi morì in una stanza del piccolo ospedale di Tortona, a casa sua: una stanza che oggi è divenuta una sala d’aspetto dell’ospedale di provincia, con una piccola targa, come racconta Marco Pastonesi nell’incipit – gelido e inevitabile come il tavolo di un obitorio – del suo “Coppi Ultimo“.
Il campione di Castellania aveva 40 anni tondi, essendo nato nel 1919 (ed ecco perché il 2019 era già anno importante). Un campione ormai anziano – per i canoni di oggi e anche per quelli di ieri – ma ancora sulle prime pagine dei giornali, in giro per mezza Europa a correre tra velodromi e strada. E non solo in Europa, ma anche in Africa, con quella trasferta sul finire del 1959 che gli fu fatale.
Mai come nel 2019 la ricca bibliografia coppiana – trecento titoli almeno – si è arricchita di nuovi scritti. E immancabile risuona la domanda: perché ancora oggi rimane mito così persistente, nel panorama del ciclismo e dello sport italiano? Ognuno dà la sua risposta e spesso affonda le radici nel vissuto di chi era bambino o giovane ai tempi delle sue grandi imprese, tra Quaranta e Cinquanta, o ha solo un ricordo della tragica scomparsa nel 1960. Uno sportivo che «sapeva muoversi in quello che oggi si direbbe “star system”, consapevole della sua eccezionalità», ha detto lo scrittore Gino Cervi, presentando a Ranco il suo “Alfabeto Fausto Coppi“. La sua figura, anche per la vicenda della “Dama Bianca” (passata proprio qui in provincia, a Varano Borghi), è andata oltre lo sport, ha rappresentato anche uno spartiacque che ha fatto entrare nella modernità.
Forse anche questo l’ha proiettato dritto nei nostri tempi, icona del ciclismo mito e insieme uomo moderno. Al 2 gennaio si ritroveranno ancora i suoi tifosi a Castellania, a fine giugno arriveranno centinaia di ciclisti in bici storiche per la manifestazione a lui dedicata, La Mitica. Ci saranno coppiani e bartaliani, insieme, fedeli al mito. «Non ho tradito nessuno», scrisse di sé nel 1954 (la frase fa da titolo al libro del cronista Gabriele Moroni, che ha raccolto tutto ciò che Coppi ha scritto). E a sessant’anni di distanza l’Italia lo ricorda ancora.
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