Chi l’ avrebbe mai detto che un giorno avremmo salvato il mondo restando a casa in pigiama?
La lettera di Daniela riflette su questi giorni strani e su quanto le nostre vite siano cambiate improvvisamente, stando semplicemente in casa

Gentile direttore,
Qualcuno mi definirà romantica o con tutta probabilità un inguaribile filosofa che ricerca costantemente il “perché” di ogni cosa. E’ pur vero che non è necessario trovare risposte a tutto per stare bene, alle volte semplicemente la risposta è nella non risposta e le cose vanno solo accettate. Io reitero il comportamento e continuo a voler comprendere.
E’ così dai secoli dei secoli, devo mettermi via le cose, come un vestito lavato, profumato, piegato e stirato io devo mettere ordine e sistemare ogni cosa. Ho un armadio pieno di cose messe via, e mi fanno stare meglio, più in ordine fuori per me equivale a essere più in ordine anche dentro. E così anche dinnanzi a questa strana e triste situazione che sta vivendo il nostro Paese, io rifletto e cerco i miei perché.
Cogliendo l’ occasione della quarantena forzata e io e il mio pigiama di topolino, stiamo cercando una dimensione di pace e consapevolezza che ci porta necessariamente in viaggio verso valutazioni e pensieri personali sull’ accaduto.
Credo che il cosmo abbia spesso il suo modo di riequilibrare le cose esso ha le sue leggi. Quando queste leggi vengono stravolte accade sempre imprescindibilmente qualche cosa.
Il momento che stiamo passando è pieno di anomalie e paradossi e fa pensare.
In una fase dove il cambiamento climatico ha causato disastri ambientali di dimensioni catastrofiche e l’ inquinamento, il surriscaldamento terrestre è giunto a livelli storici , ecco che alcuni paesi del mondo sono costretti a uno stop.
Cina in primis si chiude in un blocco forzoso, e tanti paesi come il nostro a seguire. L’ economia collassa di conseguenza ma, l’ inquinamento scende in maniera considerevole. L’ aria migliora, usiamo la mascherina per proteggerci dal virus ma, l’ aria migliora.
In un periodo storico ove nonostante la globalizzazione sussiste ancora la discriminazione e ideologie politiche meschine, arriva un virus che ci fa sentire cosa significa essere noi stessi discriminati. Questi contagi estesi sulle nostre terre, vicino casa nostra, nel nostro mondo e paese ci fanno sperimentare improvvisamente cosa significa diventare in un attimo i segregati, quelli bloccati alla frontiera, quelli che portano malattie.
E questo sta succedendo anche a noi, la parte così detta eliitaria del mondo, anche se siamo bianchi, occidentale e viaggiamo in business class.
Sta succedendo anche senza nessuna colpa.
Come colpa non hanno mai avuto i fuggiaschi clandestini che arrivano da terre dove, povertà e bellicismo costringono a chiedere rifugio e aiuto.
In una società fondata sul consumismo , dove tutti siamo abituati a correre 12 ore al giorno dietro a non si sa cosa, senza week end, senza orari, senza rossi sul calendario, da un momento all’ altro arriva questo stop.
Fermi tutti in casa adesso, a fare i conti con un tempo di cui abbiamo perso il valore perché il nostro retaggio ci ha abituato a monetizzare tutto.
Sappiamo ancora cosa farcene di tutto questo tempo ?
In una fase in cui la crescita dei propri figli è per forza di cose spesso delegata a figure istituzionali , il virus chiude le scuole e costringe a trovare all’ interno delle famiglie soluzioni alternative a rimettere insieme mamma e papà con i propri bimbi.
Questo virus ci costringe a rifare famiglia.
Se per famiglia si intende un nucleo sociale che vive nella stessa abitazione.
In una dimensione in cui le relazioni, la comunicazione e la socialità passano spesso nello spazio del virtuale, dandoci in realtà solo l’ illusione della vicinanza, il virus ci toglie quella vera di vicinanza, il contatto, quello reale.
Nessuno si può toccare, niente baci, niente abbracci, tutti a distanza nel freddo del non contatto concreto adesso, non per scelta o comodità ma , per divieto e necessità.
Quanto abbiamo dato spesso per scontato questi gesti ed il loro significato?
In una fase sociale in cui pensare al proprio orto è diventata la regola, il virus ci manda un messaggio chiaro: l’unico modo per uscirne è l’ altruismo, la comunità,, il senso di appartenenza, l’ essere parte di qualcosa, qualcosa di più grande del proprio orto e del proprio egoismo , di cui prendersi cura e che si può a sua volta prendere cura di noi attraverso il rispetto.
La responsabilità condivisa, il sentire che dalle tue azioni dipendono le sorti non solo tue ma, di tutti quelli che ci circondano. E che tu dipendi da loro.
Allora se smettiamo di fare la caccia al colpevole, di domandarci chi è la strega, polemizzando solo su quel che doveva essere fatto e non è stato fatto ma, adesso ora cosa possiamo fare o cosa possiamo imparare a tutto ciò, penso che tutti avremo molto su cui riflettere. E tutti potremo trasformare un momento davvero duro in impegno e insegnamento.
Col cosmo e le sue leggi siamo evidentemente in debito, noi super uomini moderni che ci crediamo invincibili nelle nostre belle case, con i nostri smartphone e le carte di credito abituati ad avere tutto e subito con un click su Amazon o un cuoricino su Instagram , siamo fermi senza nessuna soluzione fast o take away.
Cosa abbiamo adesso ?
Tempo, molto tempo.
Tra un film e un libro, cerchiamo di usare questo tempo per capire, per ragionare, per metabolizzare, per trasformare questo periodo in esperienza, in saggezza futura.
Il nostro potere oggi è limitato, possiamo solo affidarci alle regole che ci sono state comunicate, smettere di lamentarci e accettare delle rinunce che resteranno temporanee se seguiremo le indicazioni.
E’ bene usa re questo tempo per maturare pazienza, senso civico, ridimensionare la nostra arroganza, l’ ignoranza e la diseducazione.
L’ uomo nulla può contro la natura, mai nulla di più vero e ce lo sta spiegando un cazzo di virus, a caro prezzo.
Daniela Bulgheroni
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