“Bella Ciao”, una storia di sorprese e libertà
Matteo Goglio l'ha suonata sui monti della Val Grande. "La Libertà, quella vera, non conosce padrone, così come le donne e gli uomini che la incarnano. Molto probabilmente non sapremo mai chi veramente ha composto la sua musica languida e potente"

Il musicista Matteo Goglio lo scorso anno ha registrato una intensa versione di Bella Ciao nei luoghi del rastrellamento del giugno 1944 in Val Grande
La canzone simbolo, l’inno della Resistenza partigiana.
Una canzone che, sorpresa, non è, all’evidenza delle fonti*, mai stata cantata durante la Lotta di Liberazione dal nazifascismo. Ciò potrebbe apparire come un indebolimento di questo gioiello sonoro del patrimonio storico-artistico italiano. Per me è il contrario.
Il testo partigiano che noi tutti conosciamo, ormai noto a livello internazionale, ha una datazione certa dal 1953, quando venne presentato su una rivista e nel 1955 in una raccolta di canzoni partigiane e democratiche presentata dal movimento giovanile del PSI. La canzone fu cantata sicuramente in pubblico al Festival di Spoleto nel 1962.
L’origine della melodia, invece, è molto probabilmente croata, dalmata per la precisione.
Ancora sorpresa! “Ma come? Non è nemmeno una melodia italiana?” Forse no… o forse sì.
Perché l’Italia È il cuore della musica europea. L’Italia È il cuore dell’arte europea.
In tanti sembrano essersene scordati. Altri ne parlano con quel tono delle storielle piacevoli, se pur poco credibili. Storielle che si raccontano ai bambini, per vedere la meraviglia sui loro volti, falsamente riflessa dal volto di chi le racconta. Quasi non ci si crede più, a quelle origini latine (e ancor prima greche) di un’Europa che, forse, proprio per questo non esiste, se non come una matrigna monetaria.
Ed è proprio oggi, che “all’italiana” viene usata come una locuzione svilente e sembra non esserci per noi (così come, triste coincidenza, per i nostri cugini greci) né un passato edificante e né un futuro da edificare… noi dobbiamo Resistere.
Per la possibilità di tornare ad essere un riferimento per gli altri popoli. Sì, noi italiani, che in fondo non ce ne siamo mai fatti carico fino in fondo. E perché? Perché siamo vanitosi, egocentrici e infantili. Vogliamo essere accuditi e vezzeggiati. Proprio come l’artista che non cede alle regole dei suoi tempi, perché per lui “siete voi” che dovete capirlo. No, ogni artista che a diritto può definirsi grande, ha l’altrettanto ingente dovere di farsi capire. È Sua responsabilità farsi amare, seguire e anche dimostrare che quella fiducia è ben riposta. Basta scuse! Ripartiamo da qui: dall’essere immersi in una Bellezza senza eguali al mondo e senza tempo, che ci permea e ci rende geneticamente predisposti a ricrearla e, quindi, a diffonderla.
E arrivo al secondo tema.
Bella Ciao è un canto di libertà. E la Libertà, quella vera, non conosce padrone, così come le donne e gli uomini che la incarnano.
Molto probabilmente non sapremo mai chi veramente ha composto la sua musica languida e potente. E nemmeno chi ne ha scritto il testo, non riconducibile semplicisticamente a un’appartenenza partitica, ma piuttosto al ricordo, al valore e all’insegnamento della Resistenza Italiana come Esperienza Umana.
Ho incontrato la storia partigiana della Val Grande nei racconti del combattente Nino Chiovini, in particolare nel suo libro reportage “I giorni della semina”**. Ho visto quei luoghi, le baite ancora distrutte, i pendii improponibili su cui fuggirono esseri umani attrezzati di niente, se non del coraggio di sopravvivere e di aiutarsi l’un l’altro, con una generosità talmente profonda, da trasformare quella lotta per la sopravvivenza in una toccante esplosione di vita***. Di vita vissuta, semplicemente, “all’italiana”.
Questa è l’Italia: un manipolo di scapestrati che erigono meraviglia. Uso con consapevolezza il termine “scapestrato”, avendo scoperto, durante la mia partecipazione al festival La Luna e I Calanchi 2019 ad Aliano (MT), che il dialetto lucano non traduce il corrispettivo della parola “rivoluzionario”. L’unica possibile soluzione risultava essere quella di “scapestrato”, e cioè libero dal capestro, dalla fune per soggiogare, o addirittura uccidere. Un’immagine poetica, ma che non può e non deve più bastare. Quel manipolo di folli può e deve sentirsi un popolo unito nei sui suoi valori fondanti, nella sua Costituzione, nella difesa, creazione e diffusione della propria fenomenale qualità artistica e artigiana.
Ora, è giunto il tempo di creare finalmente quel Popolo, di comprenderne le potenzialità e renderle atti sani e durevoli, di liberarlo dai vizi approfondendone le virtù, di completarlo. Ora che il mondo intero vacilla, noi possiamo essere i funamboli capaci di riportare equilibrio. Ma affiancando al genio la disciplina, aprendo i nostri cuori alla responsabilità per quella Bellezza che ci appartiene. Ora è giunto il momento!
Donne e uomini che osate dirvi ITALIANI… artisti, scienziati, imprenditori, preti, cuochi… Ribelliamoci all’incuria in cui è abbandonata la nostra Bellezza! Riprendiamoci il Bello! Per il Bene Nostro e per il Bene di Tutti!
Sarà un’Italia da non credere, se ci avremo creduto, se avremo resistito.
Dulcis in fundo riporto una frase dell’amico Gabriele Riboli (grazie dei tuoi preziosi spunti e riscontri) che ho trovato stupenda, tanto da non usarla perché sarebbe stato barare: Bella Ciao è davvero un “gomitolo” dai molti colori. A me piace pensare che i più belli siano proprio il Verde, il Bianco e il Rosso. (G.R.)
A tutti, Buona Festa della Liberazione!
Matteo Goglio
FONTI:
*La vera storia di Bella Ciao (Luigi Morrone)
**Nino Chiovini (Wikipedia)
***Primo episodio del docufilm Val Grande ’44 in cui si narra, fra le altre storie, la toccante
vicenda di Teresa Binda.
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