Altamente contagiose: le emozioni in tempi di Covid-19

Perché ci serve empatia invece di distanziatori e sfollagente. I consigli di un'esperta

Generico 2018

Ansia – di potersi contagiare col virus. Frustrazione – di esser stati chiusi in casa per quasi due mesi. Rabbia – per la vicina di casa che non si adegua al decreto e continua a farsi una passeggiata col bambino nel passeggino. Paura – di perdere il proprio lavoro. Tristezza – di aver vissuto un lutto in famiglia senza nemmeno aver potuto dire addio al funerale. Ira – per sentirsi controllato anche solo passeggiando davanti a casa senza mettere a rischio nessuno. Delusione – per il sindaco che all’improvviso ti tratta come un padre autoritario e ti detta di fare la spesa solo in un determinato orario un giorno fisso alla settimana o il vigile del paese che vieta di far giocare i tuoi figli nel proprio cortile. Rassegnazione – perché, dopo mesi e mesi chiusi in casa, i numeri non sono scesi come te lo aspettavi. Insicurezza – per un futuro nuvoloso in cui non sai nemmeno se tuo figlio possa veramente riprendere la scuola a Settembre.

L’elenco delle emozioni prevalentemente spiacevoli in questo periodo è ampio. Ognuno di noi ha giornate buone e giornate più buie. Se attrezzati di buone risorse, riusciamo a ritornare al sole, lavorando su di noi per spingere via i nuvoloni che la pandemia ci crea in testa. Cerchiamo la gratitudine: per più tempo di qualità con  la famiglia, per il sole primaverile che ci scalda il cuore anche solo lasciandolo entrare dalla finestra, per i nonni che – nonostante si sentano un po’ soli – godono di buona salute.

Ma dobbiamo ricordarci che non tutti noi abbiamo queste risorse. Riconoscere e navigare le emozioni non è così facile come sembra. Tanti sono cresciuti con l’idea che provare la rabbia o dimostrare la tristezza sia un segno di debolezza. Non piangere! Poi c’è chi già prima del Corona virus non era equilibrato e ora più che mai avrebbe bisogno di sostegno. Lunedì, 4 maggio – data attesa con ansia (per alcuni nel senso positivo, per altri nel senso negativo), siamo tornati più numerosi sulle strade. I controlli aumenteranno. Il contatto con gli altri salirà senza dubbio.

Storie come quelle della ragazza che spinge il poliziotto durante un controllo per la mascherina aumenteranno. C’è chi chiede più armi, per attrezzare i vigili con sfollagenti e distanziatori – come l’assessore di Busto Arsizio. C’è chi dà retta alla ragazza perché ricorda il suo ultimo controllo poco piacevole da parte di un agente, specie “bad cop”, che le ha mancato completamente di rispetto.
Avrei da offrire una soluzione che può andar bene per tutti noi: alleniamo la nostra EMPATIA! Cerchiamo di capire perché ci sale una tale rabbia vedendo quella povera madre col bambino piccolo che si è presa il diritto di farsi un giro intorno alla casa. E se fosse che stando in casa, magari da sola col bambino 24/ 7 avesse rischiato di mettere le mani addosso al bambino che piange senza sosta, provando il nervoso di sua madre? E se fosse che la ragazza controllata in strada a Busto fosse entrata in panico e la sua amigdala l’avesse mandata all’attacco perché si è sentita dover difendere la sua vita? (Il così detto “sequestro emotivo” può capitare a tutti noi: il corto circuito che causa nel cervello non ci fa ragionare prima di agire, ma, nella modalità di sopravvivenza, attacchiamo, ci blocchiamo o prendiamo la fuga in automatico). E se il vigile “bad cop” fosse solo stanco perché dopo tutte queste settimane trascorse a controllare la gente per mascherina e autocertificazione non è mai stato trattato con gentilezza e non ne può più? E se il vecchietto che viene a fare la spesa ogni maledetto giorno avesse deciso che piuttosto di vivere i suoi ultimi mesi isolato, da solo, cercasse di dare un senso alla sua giornata e soddisfacesse il suo bisogno di vicinanza umana andando a comprarsi un mezzo litro di latte al supermercato?

Ascoltando le nostre emozioni possiamo imparare a comprendere quale giudizio le provoca in noi e potremmo verificare se il giudizio sia appropriato e fondato! Così, entrando in empatia con i nostri sentimenti, aumentiamo la consapevolezza anche per le emozioni degli altri. E in questo periodo, altamente insicuro, abbiamo bisogno di comprensione, solidarietà e gentilezza. Siamo tutti nella stessa barca e la responsabilità di arrivare a riva non solo fisicamente, ma anche mentalmente sano è di tutti noi.
La buona notizia è che non ci vuole tanto; a volte basta un sorriso: scientificamente provato una delle cose più contagiose. Grazie ai neuroni a specchio ci è quasi impossibile non risponderci con un sorriso. Provatelo! La prossima volta che state in fila davanti al supermercato sorridete alla persona dietro di voi. (Niente polemica, un sorriso vero illumina anche gli occhi e quindi si fa notare anche dietro la mascherina!) O al vicino di casa che vi ha rotto le scatole tagliando l’erba ogni maledetto giorno del lockdown; regalategli un sorriso perché avete capito che, essendo da solo, non sapeva trascorrere la giornata in modo diverso.

Quando vi assale il nervoso, leggendo un articolo, osservando o vivendo una situazione, chiedetevi se è davvero cattiveria o ignoranza dell’altro che merita una tale reazione oppure riuscite a rispondere: E se avesse tutte le buone intenzioni, ma non avesse potuto o saputo fare di meglio in quella situazione? Posso non giudicarlo, ma accettare che, al momento, tutti noi stiamo vivendo una situazione faticosa? Posso far qualcosa io per migliorare la situazione? Anche solo tacendo o dando una mano? È altamente potente per chi ci riesce!
Oggi, costretti a tenere la distanza di sicurezza, non ci servono altri distanziatori, ci serve gentilezza, rispetto ed empatia. Armi altamente efficaci, virtù molto contagiose che, se praticati con generosità, tornano indietro.
Alleniamo la nostra intelligenza emotiva allora; rimango a disposizione per ulteriori informazioni all’assessore di Busto Arsizio e ai suoi vigili, ma anche a chiunque possa dimostrare interesse! Ci saranno dei furbi lì fuori – come in tutti i paesi – ma togliamoci il pregiudizio che l’italiano medio non possa rispettare le regole e abbia bisogno di controlli severi e multe alte per riuscirne. Viviamo un momento storico, usiamolo come opportunità di apprendimento e lasciamo alle spalle il vecchio stile autoritario, dando spazio alla leadership e un approccio d’intelligenza emotiva.

Al momento, la scienza non ha ancora tutte le risposte necessarie sul Covid-19 e non ci offre il vaccino che ci farebbe subito tornare alla vita con tranquillità, ma ci offre idee come vivere questa situazione in modo più serenamente possibile: allenando la propria intelligenza emotiva e inserendola nell’educazione dei bambini fin da piccoli e nella formazione di persone che vivono quotidianamente in contatto con altri in situazioni delicate, come gli agenti della polizia o la protezione civile. Le persone psicologicamente equilibrate e socialmente competenti avranno una marcia in più nell’affrontare momenti di crisi che un mondo globalizzato nelle sue complessità della vita porta con sé.

La leadership è anche fondamentale per un rapporto di fiducia mutuale; tra stato e popolo, tra vigile e cittadino, tra insegnante e alunno, tra genitore e bambino e persino tra capo e dipendente. In momenti di grosse sfide come l’attuale pandemia notiamo che i paesi con una maggior responsabilità civica riescono a gestire il lockdown in modo più rispettoso e meno invasivo, grazie alla fiducia che il popolo ha per le decisioni del governo e quella del governo nell’atteggiamento responsabile del suo popolo, dovuto ad una comunicazione di regole scelte basandosi su rispetto e empatia di ogni individuo. L’accettazione passiva delle regole – a volte pure poco chiare – provoca frustrazione e rassegnazione o invita al “fare i furbi”. Sicuramente non lascia spazio al popolo di dimostrare la sua affidabilità. Se vogliamo avere cittadini con buon senso, responsabili e motivati a fare “la cosa giusta”, rispettando regole basate su un buon senso, dobbiamo iniziare a trattarci come tali!

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Pubblicato il 05 Maggio 2020
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