In volo sui boschi del Lago Maggiore rasi al suolo dalla tempesta

Bambini trasferiti a valle per non far perdere loro la scuola. Giorni senza luce e acqua corrente: viaggio nelle frazioni colpite di Vararo e Casere a Cittiglio. “A piedi in mulattiera. E abbiamo munto al lume di candela“

Il primo pensiero, quando qualcosa non va, è sempre rivolto ai figli. E per questo Simone (foto sotto), 45 anni ha deciso di portare a valle il suo bimbo di 6 per consentirgli di andare a scuola evitandogli di fare alla fine quasi un’ora di macchina per arrivare in classe partendo da Casere, frazione di Laveno Mombello a mille metri con strade ancora interrotte, e quelle aperte percorribili con estrema difficoltà.

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cittiglio, laveno mombello, vararo, casere

Dietro la casa di Simone è già Vararo (frazione di Cittiglio) e anche Renato che di anni ne ha 59 e fa il casaro ha scelto di mandare giù i tre figli in età scolare «perché non possono perdersi nemmeno un’ora di lezione dopo l’anno orribile del covid che speriamo tutti finisca in fretta».

Perché qui oltre alla pandemia, in una conca meravigliosa e divisa fra i due paesi, venerdì notte è successo qualcosa che i residenti si ricorderanno a vita.

«Ero davanti alla tv e ho visto una scintilla partire dalla spina. Poi tutto buio: non era un lampo perché non c’era il temporale. Fuori tre grossi alberi avevano tranciato i fili della luce. Erano le dieci e mezza di sera e pensavo che fosse finita lì: ho chiamato il 112 per avvisare e sono tornato in casa. Ma quello che ho visto verso le 2 non lo dimenticherò mai: un vento che ha distrutto migliaia e migliaia di alberi. E poi quella luce chiara, gialla nella notte. Sembrava l’apocalisse».

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Le parole sono di Alessandro Papini, 43 anni (foto qui sopra), che assieme alla sorella manda avanti la Gigliola, ex casa di campagna degli industriali delle ceramiche, i Revelli e vicini a “villa Ferrero“ – imparentati con l’omonima dinastia della crema di cacao alla nocciola – che regala un affaccio su Intra con le Isole, la schiuma dei traghetti che partono, Baveno e il bianco della sua montagna. Ma appena più giù, non distante dalla mulattiera diretta al lago ecco aprirsi la devastazione con alberi distrutti, spezzati dal vento che il Centro geofisico prealpino ha stimato in 108 chilometri orari (rilevazione stazione di Poggio Sant’Elsa): era quello scirocco che da sud est ha cominciato a soffiare sventrato interi boschi.

«Spero che il Comune ora ci venga incontro con i tributi. È già un anno nero con 3 mesi di lockdown, non possono chiedere le stesse tasse (già alte) di quando tutto era normale»

Il racconto di Alessandro arriva quando il cancello della sua proprietà viene liberato da un palo della luce venuto giù e che nella corsa si è portato dietro un enorme faggio e diverse betulle: col “ragno“, e di motosega, stanno lavorando Nicholas e il collega, boscaioli di un’azienda agricola di Besozzo qui per rimettere tutto a posto: «Non so quanto ci vorrà a far tornare tutto come prima», dice Nicholas prima di tirare l’ultima boccata della sigaretta, indossare il casco e far ripartire la catena. Ci vorranno mesi e mesi di lavoro. E decenni per rivedere il bosco com’era. Faggete intere distrutte, con radici divelte e tronchi spezzati in due.

Il sindaco di Laveno Mombello Luca Santagostino ha chiesto ala Regione 100 mila euro per lavori di somma urgenza che suonano come una goccia nel mare in questo panorama sfigurato, ma almeno sono già qualcosa per rifondere le spese saldate dalle casse comunali per la rimozione degli alberi, per aprire le vie. Ora tutte le case hanno la luce ed è tornata l’acqua, ma le attività economiche del posto incrociano le dita affinché la strada per Cittiglio – la più comoda e veloce – venga ripristinata.

Altrimenti per scendere a valle c’è la meravigliosa ma scomodissima sp7 che da Castelveccana porta al Cuvignone dove se si incontra un’auto in uno dei tornanti del passo è necessario il metro, e un pizzico di sangue freddo per capire se le macchine si sfrisano o si sfiorano. Oppure si può – sempre via provinciale – scendere in Valcuvia attraversando il borgo dipinto di Arcumeggia, ma i cartelli indicano delle fasce orarie in cui la strada è interrotta: anche qui lavori.

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«Alla fine non ho paura più di tanto. Perché se ci pensiamo bene, fare il formaggio è un’attività millenaria. Ed è ancora possibile farlo seguendo regole di un tempo: si munge al lume di candela se manca la luce e il latte lo puoi conservare raffreddandolo nell’acqua del fiume».

Per tre giorni Renato Tomasini di “Capra e Cavoli“ ha fatto così, all’antica, per resistere ai disagi del maltempo: ieri, lunedì, sono venuti a liberargli la strada.

Ora c’è tanto lavoro, come sempre, per soddisfare i clienti che comprano formaggi e i turisti che arrivano per passare qualche giorno in totale immersione con la natura, soprattutto dall’Olanda: «Domenica dovrebbero arrivarne altri, spero che riaprano la strada. Le istituzioni, i sindaci e la protezione civile ci sono stati molto, molto vicini. Dispiace per quello che è successo alla faggeta, una delle più belle di tutta la zona che dava riparo a molti animali, ora andata completamente distrutta».

Sembra che il vento abbia lasciato queste due frazioni in un tempo sospeso.

Per raggiungere Laveno Mombello qualcuno ha ricominciato a ripercorrere la mulattiera che porta in paese, e per risalire si sfrutta la gratuità (per i residenti) della funivia: una volta in vetta ci vogliono 20 minuti di sentiero per arrivare a Casere, si sbuca proprio dietro il muraglione della Gigliola.

Ripartire da questi luoghi è difficile senza provare un senso di angoscia per quello che è successo e per quanto ancora potrà accadere a causa dei cambiamenti climatici in atto.

Lo dicono le parole delle persone, un centinaio, che hanno scelto di abitare qui, fidandosi della montagna. Lo dicono gli scorci che si incontrano scendendo sopra al rifugio del Cuvignone, altre distese di alberi spianati dal vento e che non si rialzeranno mai più.

Andrea Camurani
andrea.camurani@varesenews.it

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Pubblicato il 06 Ottobre 2020
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