“Il cristiano non deve abbandonare il mondo”

Il testo integrale dell'omelia che monsignor Luigi Panighetti, prevosto di Varese, ha pronunciato il 31 dicembre 2020 in occasione della s. Messa di fine anno

messa pasqua 2020 basilica san vittore

“Abbiamo costatato che la cultura dell’individualismo e dell’auto-determinazione si è mostrata illusoria. La nostra libertà ha bisogno di legami. Occorre ricostruire il legame sociale, rifondare la solidarietà. Si tratta di riscrivere un modo per stare insieme capace di farci raggiungere un livello di maturità più avanzata”.

Pubblichiamo il testo integrale dell’omelia che monsignor Luigi Panighetti, prevosto di Varese, ha pronunciato il 31 dicembre 2020 in occasione della s. Messa di fine anno, conclusa col canto del Te Deum nella basilica di san Vittore martire a Varese.

“Ancora una volta si chiude un anno colmo di eventi, un anno in cui siamo stati provocati perché «in ogni situazione c’è la possibilità di scegliere il bene, di decidersi ad amare, di mettere mano all’impresa di migliorare le cose e aggiustare il mondo».

Ma è un anno che ricorderemo soprattutto per la terribile pandemia che ha colpito la nostra Città, il nostro Paese, il Mondo, che ha fatto e continua a fare versare lacrime. E ha anche mostrato chi quelle lacrime ha saputo asciugare. In questi mesi molto si dibatte sulle conseguenze gravissime del fenomeno: sanitarie, economiche, sociali, psicologiche, spirituali.

Un fatto dalle proporzioni così pesanti genera confusione a tutti i livelli. Confusione nella società, nei dibattiti, nell’esistenza personale. Come uscirne?

Forse l’essenziale è ricordarci di ritornare a Dio che ci ama fin dall’eternità.

La Chiesa ambrosiana sta tentando una lettura sapienziale della novità creata dalla drammatica epidemia, cioè siamo richiamati a individuare un orientamento verso cui indirizzare energie, risorse, sforzi, tempo. Molti notano come il primo effetto della attuale situazione consista nella incapacità di individuare un orientamento.

Fino a pochi mesi fa la parola d’ordine era un progresso in senso consumistico e a tutti i costi, mentre ci si era dimenticati di un vero sviluppo che nella sobrietà, nel rapporto di buon vicinato, nell’attenzione sociale, nel rispetto della persona e della terra portasse un vero bene a ciascuno e a tutta la comunità.

Il vero problema era, e rimane, il progresso dell’umanità cioè dell’intensità con cui ciascuno di noi vive la propria vocazione umana che è innanzitutto di essere a immagine e somiglianza di Dio.

Per la propria parte ciascuno deve esercitare un compito di grande responsabilità poiché tocca a noi, tutti insieme prefigurare scenari futuri migliori e promettenti. Dall’esperienza che stiamo vivendo deve scaturire una coscienza più vera e profonda della propria umanità e uno sguardo  consapevole sull’altro, come me, dal cuore pieno di desiderio e di inquietudine.

È dalle liturgie natalizie che stiamo celebrando che viene una nuova sapienza e una indicazione precisa della nostra libertà.

Dentro la storia il cristiano sa che non deve abbandonare il mondo oppure pretendere un intervento magico di Dio che scavalchi l’uomo e la sua libertà. Piuttosto il cristiano è chiamato ad incarnare nel mondo l’opera di Dio, cioè ad offrirsi perché uomini e donne accettino di farsi strumento dell’opera di Dio nella storia.

E sappiamo che in tanti casi questo è avvenuto ed avviene. Appunto è la logica della Incarnazione in cui è presente divino ed umano, infinito e finito, vittoria e sconfitta: in questo gesto – limitato e fragile – rendo presente la potenza della novità e dell’amore di Dio. L’urgenza grande del tempo presente ci impegna a offrire al mondo una testimonianza viva che il Verbo si è fatto carne ed abita in mezzo a noi. Ovviamente non si tratta di imporre la fede, ma di operare a partire dalla umanità rinnovata che essa produce, in ogni istante, incontro e circostanza: ogni situazione è occasione.

Abbiamo costatato che la cultura dell’individualismo e dell’auto-determinazione si è mostrata illusoria. La nostra libertà ha bisogno di legami. Occorre ricostruire il legame sociale, rifondare la solidarietà. Si tratta di riscrivere un modo per stare insieme capace di farci raggiungere un livello di maturità più avanzata.

Sono convinto che in questo difficile tempo possa molto giovare una lettura attenta dell’Enciclica di Papa Francesco «Fratelli Tutti», sulla fraternità e l’amicizia sociale, dove si pone l’accento sulla necessità di avviare processi di incontro che possano costruire ulteriori possibilità per ciascuno ed accoglienza delle differenze.

È in gioco una «visione» dell’uomo, delle relazioni, della convivenza sociale, della Città che non possiamo considerare con superficialità. La cura della Polis esige di mettere in campo idee e persone che si muovano nella direzione di una «ecologia globale»: relazioni, economia, pluralità sociale, ecosistema in cui un dovere specifico è quello di prendersi cura della vulnerabilità.

La congiuntura provocata dalla pandemia può essere colta come opportunità per cambiare quello che non va a favore della tutela della inalienabile dignità della persona umana. Nell’immenso cantiere che a tale proposito si apre sottolineo due questioni che riguardano da vicino anche la nostra Città. La prima è la sacralità della vita che viene dal fatto che non si esaurisce in sé stessa e nella storia di ciascuno, ma appartiene a un progetto più alto e trascendente.  In modo drammatico in questi mesi abbiamo fatto la dolorosa esperienza di come la vita abbia in sé una ramificazione che si manifesta attraverso una rete di relazioni sia verticali col divino, sia orizzontali col prossimo e col mondo.

La vita, questa vita è impastata di finitudine e di trascendenza in tutto l’arco del suo esistere, dal concepimento alla morte naturale. La vita, questa vita, è il luogo in cui si esercita la libertà personale. Il calo vertiginoso delle nascite; la tutela della persona da discriminazioni e offese; il ritenere l’aborto come soluzione, mentre è un dramma e una ferita che non si rimargina; l’indifferenza o il disprezzo verso la dignità del migrante e del rifugiato senza una seria assunzione di responsabilità della  politica; la lotta contro il Covid chiedono di considerare come la civiltà di un popolo si riconosce dalla tutela della nobiltà di ogni persona.

Un secondo argomento molto rilevante, già più volte da me richiamato, è l’educazione e la sfida che essa rappresenta per docenti, famiglie, educatori, scuola e comunità. La passione educativa conduce le giovani generazioni ad acquisire una coscienza di sé e della realtà che le metta in grado di cogliere le complessità del mondo contemporaneo.

Il Papa parla di un «patto educativo globale per e con le giovani generazioni» che ponga al centro la persona, favorisca la creatività e formi soggetti disponibili a mettersi al servizio della comunità.

Perché la dinamica educativa si attivi occorre che il mondo adulto sappia ascoltare e proporre una convincente esperienza di vita. L’adulto deve porre a se stesso le domande – magari nascoste – che hanno i più giovani: il desiderio di felicità, bellezza, verità, giustizia ed accompagnarli alla ricerca di una ipotesi di risposta che permetta loro di interpretare la vita e la realtà.

Ancora una volta sono gli adulti a dover portare per primi un pesante carico di responsabilità educativa senza lasciarsi travolgere dal senso di solitudine o frustrazione, piuttosto che dall’apprensione di preservare i figli dall’esperienza dell’ostacolo e dell’impatto aspro col reale.

Il Natale ci introduce alla conoscenza dell’amore di Dio che salva e svela a ciascuno la sua presenza viva in mezzo a noi. Nelle tenebre c’è una luce che è Cristo, Dio che si fa carne in Gesù. Affidiamoci a lui; invochiamolo per noi, le nostre famiglie, la nostra Città, la nostra società.

Dice il libro dell’Apocalisse. «Ecco la dimora di Dio con gli uomini! Egli dimorerà tra di loro ed essi saranno suo popolo ed egli sarà il “Dio-con-loro”. E tergerà ogni lacrima dai loro occhi».

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 01 Gennaio 2021
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