Il Claun Pimpa è tra le rovine di Mosul per far sorridere i bambini

Come ogni anno, Marco Rodari raggiunge le zone del medio Oriente che hanno vissuto guerre e distruzioni per portare spensieratezza alla popolazione. Tra i suoi obiettivi quello di raggiungere Gaza

Marco Rodari è in Iraq

Nulla riesce a fermare il “Claun Pimpa“. Anche quest’anno, appena le condizioni sanitarie lo hanno permesso, è salito su un aereo diretto in Medio Oriente. Un appuntamento fisso a cui non può mancare, perché i bambini lo attendono e lui sa che c’è bisogno di ascoltare il suono delle risate.

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Così, Marco Rodari, clown prestigiatore, è volato a Mosul, in Iraq, tra le macerie di una guerra appena conclusa, in una città che ha vissuto il regime dell’ISIS.

Marco, finalmente hai ripreso a viaggiare. Dove sei in queste settimane, cosa stai facendo?
Sto facendo il giro dell’Iraq. E come sempre se il clown vi può arrivare, vuol dire che la situazione sta migliorando: qui in Iraq rispetto al 2020 la situazione è davvero migliorata e questo mi ha permesso di regalare sorrisi a Bagdad, Mosul, e in tantissimi villaggi del nord dell’Iraq, per finire poi nei campi profughi siriani presenti ad Erbil, nel Kurdistan Iracheno.

Che Iraq hai ritrovato dopo la pandemia?
Se paragono come è stato possibile affrontare la pandemia in Italia e come è possibile affrontarla qui in Iraq, ci sono grandi differenze.
La prima è che qui è più difficile proteggersi dal virus perché non ci sono mascherine per tutti, non si riesce a mantenere sempre il distanziamento sociale e a volte è impossibile anche semplicemente lavarsi le mani. Inoltre la situazione delle strutture sanitarie, già molto precarie, è ora al collasso. E ne è esempio negativo il fatto che un ospedale costruito per i malati Covid a Bagdad, per un presunto errore tecnico, è esploso causando 82 morti e centinaia di feriti. Inoltre non c’è alcun segno di una campagna vaccinale coordinata nei confronti della popolazione.

A Mosul, luogo chiave per lo Stato Islamico nel 2014, tu hai fatto giocare i bambini: com’è andata?
Mentre vedevo gioire i bambini nel quartiere vecchio di Mosul, mi capitava di alzare lo sguardo e vedere davanti a me quello che resta del minareto della Grande Moschea di al-Nuri. Pensare che da quel luogo hanno autoproclamato il califfato faceva risuonare quelle grida di gioia in modo diverso. Con un suono nuovo!

Il virus ha cambiato il Pimpa o i suoi spettacoli?

Il distanziamento ha tolto la possibilità al clown, soprattutto in ospedale, di vivere direttamente e quindi con una maggiore empatia l’incontro con i bimbi. Ma ci siamo reinventati, e dico reinventati perché anche i bimbi hanno trovato un modo diverso di interagire con me attraverso uno schermo.

Coprifuoco, niente sarà più come prima, l’eroismo del personale sanitario in prima linea, la battaglia contro il virus. Tu hai conosciuto la guerra e le sue conseguenze, le parole sono importanti: credi che la metafora bellica sia quella corretta da usare?
Premettendo che ogni sofferenza che vive ogni singolo essere umano nel suo contesto specifico, guerra o pandemia che sia, è la più grande sofferenza e quindi da me non giudicabile, non trovo corretto utilizzare metafore belliche fuori da un contesto di guerra. Si fa quantomeno una cattiva descrizione di quello che sta accadendo. Poi solitamente, permettimi, chi utilizza una metafora bellica fuori da un contesto di guerra è perché la guerra non l’ha mai vissuta.

E dopo l’Iraq che progetti hai?
Mi piacerebbe raggiungere anche la Striscia di Gaza e la Siria perché, come dicevo prima, se il clown arriva vuol dire che la situazione sta migliorando…

Tu conosci quella terra e le persone che la abitano. Tu chiedi spesso ai bambini come si fa la pace… Come si fa? Si passa dalla giustizia?
La speranza sta nelle persone di buona volontà che conosco e vivono a Gaza, che sapranno sicuramente reagire positivamente anche a quest’ultima disgrazia che si è abbattuta su di loro. I bambini perdonano senza pre-giudizi. Difficile per noi adulti imitarli, ma è l’unica strada.
Parlando in questi giorni con parecchi amici di Gaza ho sempre sentito come prima loro richiesta non il cessare delle bombe, ma il poter essere liberi.
Ridare libertà alle persone di buona volontà che vivono a Gaza sarebbe il primo passo verso la giustizia.

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 21 Maggio 2021
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