Europei di calcio: perché inginocchiarsi prima della partita conta
Un gesto antirazzista mette a nudo le fragilità dell’Europa. “Lo sport non rinunci a promuovere i diritti”
«Ha senso inginocchiarsi prima delle partite dei Campionati Europei di calcio, per dare pubblico sostegno alla campagna Black Lives Matter? Sì». Lo ha scritto Ivano Maiorella, responsabile dell’ufficio stampa Uisp nazionale, su Articolo 21.
È ancora più importante che ci siano le telecamere di tutto il mondo a riprendere quel gesto e che sia il calcio a fare da cassa di risonanza di uno dei grandi diritti della terra, ancor oggi in discussione. Ed è importante, infine, che le ambiguità di chi dice che lo sport, e il calcio, sono qualcosa di “separato” rispetto alla “politica” e al mondo reale, vengano smentiti in diretta mondiale. Ma gli ostacoli non mancano.
Dopo la morte di George Floyd, il primo a portare alla ribalta nel grande calcio internazionale il gesto del “take a knee”, ovvero quello di mettersi in ginocchio, era stato Marcus Thuram. Da allora, sono stati in molti a seguirlo in vari sport, dalla NBA di basket alla F1. Con gli Europei di calcio l’Uefa ha rilanciato, scegliendo di incoraggiare quel gesto contro il razzismo, dopo aver sostenuto varie campagne negli stadi di tutta Europa con lo slogan “Respect”. Campagne che nel nostro Paese si sono fatte largo un po’ a fatica, sebbene incoraggiate anche dalla Lega calcio e dall’Unar, l’Ufficio nazionale contro le discriminazioni razziali, che proprio allo sport ha dedicato uno specifico Osservatorio, costruito con Uisp e Lunaria. Proprio perché lo sport è linguaggio popolare, capace di catalizzare attenzione e rispetto.
Su questa scia stanno avvenendo cose importanti in questi giorni, con i giocatori di alcune rappresentative nazionali che si inginocchiano e altri no. È accaduto per esempio durante Inghilterra-Croazia, con i Leoni inginocchiati e i Croati a guardare. Il pubblico è diviso ed è frequente ascoltare bordate di fischi a chi si inginocchia, come era capitato in una partita preparatoria e amichevole, Irlanda-Ungheria giocata a Budapest, con il capo di stato di quel Paese, Viktor Orbán, che ha bollato il gesto come “provocatorio”. Il FifPro, il sindacato mondiale dei calciatori, ha dichiarato il proprio “pieno sostegno ai giocatori dell’Inghilterra contro razzismo e discriminazione, nel calcio e anche fuori, a Euro 2020”.
La formula di questo torneo, quindi, sembra mettere a nudo le fragilità europee nel condividere un valore, quello dell’antirazzismo, che dovrebbe essere fondante. Perché i fischi si sono sentiti anche a San Pietroburgo, che ha ospitato Belgio-Russia e persino a Wembley, Londra, sede di Inghilterra-Croazia, con il leader del partito no-Brexit, Nicolas Farange, a dire che «inginocchiarsi significa solidarizzare con una organizzazione marxista che vuole eliminare le forze politiche, vuole distruggere il capitalismo occidentale, cancellare il nostro modo di vivere e sostituirlo con un nuovo ordine comunista».
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