Ricordo di Piero Gobetti, l’editore che sognava il Canton Ticino

Ricorre in questi giorni il centoventesimo anniversario della nascita di uno dei più importanti intellettuali italiani, precocissimo giornalista, direttore di rivista ed editore torinese

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Ricorre in questi giorni il centoventesimo anniversario della nascita di uno dei più importanti intellettuali italiani di stampo antifascista: Piero Gobetti, precocissimo giornalista, direttore di rivista ed editore torinese, che morì in esilio quando non aveva ancora compiuto 25 anni.
A partire dal 1922 e più ancora dal gennaio 1925 infatti, dopo il discorso con il quale Mussolini attuò nei fatti il regime totalitario che avrebbe accompagnato il paese fino alla liberazione, non furono pochi gli intellettuali perseguitati. Tra questi Gobetti spicca oltre che per il grande talento anche per la sua singolare posizione politica: egli era un liberale, quindi un antifascista di destra. Di Gobetti non esistono molte fonti biografiche, a causa della morte prematura dovuta ai suoi problemi cardiaci, ma anche alle persecuzioni e bastonature fasciste che lo spinsero a cercar rifugio in Francia.
Ci sono tuttavia eccezioni a questa mancanza di informazioni: una di queste è il lavoro di Umberto Morra di Lavriano, che conobbe Piero a partire dal 1922. Egli ha scritto su Gobetti una breve biografia, sebbene incompiuta. Altra eccezione è il volume “Gobetti. Un’idea dell’Italia” scritto da Giovanni Spadolini, già presidente laico del Senato e autorevole candidato al Quirinale nel 1992.
Andrea Viglongo, un collaboratore del gruppo de «L’Ordine Nuovo» di Antonio Gramsci a Torino era stato un compagno d’infanzia di Piero: da lui sappiamo che i Gobetti erano una famiglia di piccoli commercianti, così come lo era la famiglia di Ada Prospero (originaria della Val di Blenio, in Canton Ticino) che del giovane editore fu prima compagna di studi e poi moglie. Sappiamo che probabilmente il primo articolo Gobetti lo scrisse in III elementare sul giornalino della scuola. I genitori e gli amici d’altra parte lo adoravano ed appoggiavano il suo talento di scrittore, che a dire il vero fu davvero fulminante. A 17 anni era già direttore di una rivista quindicinale dal titolo ambizioso: «Energie Nove». Questa non doveva essere proprio un giornalino qualunque se Palmiro Togliatti si preoccupò di apostrofare le idee gobettiane nel 1919, proprio dalle pagine della rivista di Gramsci, la quale poco dopo finì per ospitare questo giovanissimo “parolaio, ignorante e saltimbanco” come critico nella pagina culturale dedicata ai teatri.
Alla facoltà di giurisprudenza a Torino Gobetti ebbe contatti con Luigi Einaudi, liberale e futuro presidente della repubblica, nonché relazioni prima editoriali e poi personali con Gaetano Salvemini il quale in seguito insegnò storia ad Harvard per tutta la vita. Quest’ultimo gli propose, a 17 anni, di sostituirlo alla direzione della rivista «L’Unità»; Gobetti sentì tuttavia di dovere di rifiutare la proposta, forse giudicata acerba. Egli a molti doveva apparire come un piccolo vulcano ed infatti Norberto Bobbio così lo descrisse: “non era un dottrinario, era un agitatore di idee, lucido, intrepido, appassionato… talora un eclettico, talora un geniale dilettante”. Del periodo del servizio militare sono anche note una serie di corrispondenze con Natalino Sapegno, di cui fu amico, il quale nel dopoguerra sarebbe diventato uno dei più importanti studiosi di Dante nel nostro paese.
Più di tutto, e qui si vuole arrivare, impressiona la tensione gobettiana nei confronti dell’editoria che lo portò a pubblicare nel 1925 la prima edizione degli «Ossi di Seppia» di Eugenio Montale, il quale avrebbe vinto cinquant’anni dopo il premio Nobel per la letteratura.
Spadolini ricorda anche che il vero sogno di Gobetti, forse ispirato dalla moglie, era in realtà a Capolago, in Canton Ticino, dove negli anni del Risorgimento era stata attiva la celeberrima Tipografia Elvetica, una stamperia di materiale politico e propagandistico, la quale trovandosi all’estero aveva potuto fungere da fattiva sorgente di rinnovamento e di riscatto per l’Italia che ne aveva bisogno. Vale qui la pena di ricordare, infatti, che a Lugano ebbe casa Mazzini e morì Carlo Cattaneo nel 1869.
Probabilmente per questo Gobetti, nel 1924, perseguitato ferocemente dopo i salaci giudizi su Mussolini espressi dalle pagine della rivista «Rivoluzione Liberale» e dopo la pubblicazione di un opuscolo su Giacomo Matteotti, cercò asilo a Parigi, dove però trovò quasi subito la morte all’inizio del 1926. Il giudizio netto di Benedetto Croce sul conto di Gobetti fu che egli sarebbe divenuto, se ne avesse avuto il tempo, “un grandissimo editore”. Gramsci, che fu amico di Piero, lo definiva un “liberale non giolittiano” ed anche Filippo Turati, secondo un giudizio riportato da Sandro Pertini, ebbe grande considerazione per questo pensatore ed editore, rivelatosi unico per lucidità e limpidezza di intenti.

 

Bibliografia
1. Umberto Morra di Lavriano – “Vita di Piero Gobetti” – UTET – 1984
2. Giovanni Spadolini – “Gobetti, un’idea dell’Italia” – Longanesi & C. -1993

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Pubblicato il 21 Giugno 2021
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