Van Morrison e la pace in Irlanda
Il grande irlandese era emigrato in USA ma non dimenticava la martoriata isola.
E il nostro cowboy di Belfast continuava a non sbagliare un disco, tanto da mettere in difficoltà il vostro recensore per trovare nuove suggestioni. Se ricordate l’avevamo lasciato dopo il trasferimento da Woodstock alla California, felice ed innamorato della sua Janet tanto da paragonare la sua dolcezza a quella del miele di tupelo: ma le cose erano cambiate, tanto che divorzieranno nel 1973. Saint Dominic’s di conseguenza non è un disco che parla d’amore come i precedenti, e dal punto di vista musicale unisce brani leggeri come l’iniziale Jackie Wilson Said, ad altri che sarebbero stati bene su Astral Weeks (ricordate?). Due pezzi in particolare passano i dieci minuti di durata ciascuno e i loro testi sono composti con il cosiddetto “flusso di coscienza” che li rende particolarmente ostici alla comprensione: non essendoci i testi addirittura fecero fatica gli anglofoni! E questa però era proprio una caratteristica sua, tanto che qualche critico si spinse a dire che la vocalità era in qualche modo più importante del testo stesso. Ma non spaventatevi: sono pezzi stupendi e non di difficile ascolto!
Curiosità: il 1972 fu l’anno con più vittime (472) della guerra civile irlandese, che aveva come centro Belfast, città natale di Van che da anni viveva negli USA. Un giorno a Reno nel Nevada lesse sul giornale che nella locale chiesa di Saint Dominic ci sarebbe stata una messa per la pace in Irlanda e da lì partì l’ispirazione per il disco.
La Rubrica 50 anni fa la musica
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