Varese ha una vocazione ambientale

Sala convegni del Castello di Masnago gremita di persone per discutere di cibo, sovranità alimentare, cambiamento climatico , agricoltura e ambiente

generico varese

Se un sabato mattina centinaia di persone si incamminano di buonora per partecipare a un convegno su sovranità alimentare, climate change, agricoltura e ambiente significa che il cambiamento è iniziato. Per dirla con le parole di Eugenio Gervasini, di Progetto concittadino, è il segno che «Varese ha una vocazione ambientale».
Il fatto poi che quell’incontro si teneva in un museo rendeva la cosa ancor più stimolante. Il legame tra arte ambiente e agricoltura, sottolineato da Cesare Camardo, docente all’Accademia delle belle arti di Carrara, sta proprio in un’opera del Distretto Rurale, esposta nella sala del convegno, che poneva tre passaggi in sequenza. Un percorso necessario, dove la misura (l’agricoltura contadina di piccola e media taglia), il disegno (le pratiche agronomiche sostenibili) e l’azione (promuovere la gestione sostenibile delle produzioni agricole) diventano l’uno la premessa dell’altro
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I relatori intervenuti al Castello di Masnago, su invito di Progetto concittadino e Aiab Lombardia (Associazione italiana agricoltura biologica), hanno affrontato temi epocali partendo dai dati. Un approccio scientifico che ha innescato riflessioni nel pubblico altrettanto profonde sulla transizione ecologica e le sue contraddizioni.
Claudia Sorlini, vicepresidente di Fondazione Cariplo e docente di microbiologia agraria, ha aperto il convegno partendo dalla necessità di avere un diverso modello economico. «Noi puntiamo tantissimo sulle nuove tecnologie – ha detto Sorlini – ma queste sono solo un abilitatore. Occorre invece uno sguardo diverso, in grado di dare risposte alla povertà».
Secondo l’ultimo rapporto Caritas, in Italia le persone che vivono sotto la soglia di povertà sono oltre 5 milioni. Il quadro sociale si intreccia con quello ambientale che non è esaltante, come ha sottolineato Bruno Cerabolini, ordinario di botanica ambientale all’università dell’Insubria. Lo studioso ha messo a confronto le sorgenti di produzione di CO2 e i cosiddetti carbon sink, cioè i serbatoi di carbonio in grado di assorbire anidride carbonica contribuendo in questo modo a diminuire la quantità di CO2 nell’atmosfera e di conseguenza anche il riscaldamento del pianeta. Un rapporto sbilanciato perché la capacità di assorbimento dei carbon sink è pari al 48% dell’anidride carbonica prodotta. L’utilizzo di biomasse, soprattutto quelle derivanti dalle piante infestanti, potrebbe dare un contributo nel riequilibrare quel rapporto.

Il tempo fugge. Se non si agisce il riscaldamento tra il 2040 e il 2100 porterà ad un aumento delle temperature invernali tra i due i quattro gradi. Paolo Valisa del Centro Geofisico Prealpino mostra le foto del Lago Maggiore completamente ghiacciato. Correva l’anno 1929. «L’inversione della nevosità – ha detto Valisa- è iniziata negli anni ’80. Il ritiro dei ghiacciai è stato catastrofico e senza ghiaccio il Po ha raggiunto il minimo storico».

Per riportarci in carreggiata occorrono, dunque, misura, disegno e azione che, secondo Bernd Gawlick, corrispondono a scienza, arte e politica. Secondo lo scienziato del Jrc di Ispra, esperto di risorse idriche, «l’acqua porta con sè molte risposte culturali». L’affermazione di Gawlick è tutt’altro che filosofica. Se un americano consuma mediamente 500 litri di acqua al giorno e un africano 20 litri, dobbiamo porci domande sul nostro modello di vita. «Riducendo il consumo di carne – dice il ricercatore – si potrebbe risparmiare più di un terzo della quantità d’acqua». La cosa importante è però essere consapevoli del fatto che noi non consumiamo semplicemente acqua, ma la qualità dell’acqua.

In attesa di un’azione politica, gli agricoltori si stanno già muovendo. L’esperienza di Renata Lovati, allevatrice biologica, che non è potuta intervenire al convegno, è stata raccontata da Massimo Crugnola dell’OrtobioBroggini, a sua volta avanguardia dell’agricoltura biologica in provincia di Varese. «La scelta di Renata di passare da un allevamento di mucche da latte tradizionale a un allevamento biologico – ha detto Crugnola – è stato paradigmatico per gli altri agricoltori e allevatori del Parco agricolo sud di Milano. I benefici sono evidenti per animali, esseri umani e ambiente».
Renata combatte quotidianamente per fermare il consumo di suolo agricolo, l’unico modo per innescare processi virtuosi di riutilizzo e di rigenerazione.
Una scelta obbligata se si vuole ripensare e ricucire la città.

Michele Mancino
michele.mancino@varesenews.it

Il lettore merita rispetto. Ecco perché racconto i fatti usando un linguaggio democratico, non mi innamoro delle parole, studio tanto e chiedo scusa quando sbaglio.

Pubblicato il 25 Ottobre 2022
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