Denunciava il compagno per stalking per far contenti i genitori, assolto dopo un calvario di 7 mesi di reclusione
Tanti sono stati i mesi passati tra carcere e arresti domiciliari per un 50enne di Sumirago, denunciato a più riprese dalla compagna. Le querele presentate per far contenti i genitori

Lui di Sumirago, lei di Gallarate, 50enni innamorati ma la loro unione viene ostacolata dai genitori di lei che non vogliono che frequenti quell’uomo e così, per giustificare i loro incontri, la donna inizia a presentare denunce per stalking nei confronti del compagno che, però, continua a frequentare promettendogli di ritirarle quanto prima.
E invece le denunce non vengono ritirate ma si accumulano. Lui, ignaro delle conseguenze, si fida ma finisce per subire prima un provvedimento di allontanamento e poi addirittura il carcere e gli arresti domiciliari, 7 mesi passati da recluso per amore.
È senza dubbio una relazione tossica (anche per l’uso di stupefacenti, ndr) quella che stamattina è finita davanti al giudice monocratico del Tribunale di Busto Arsizio, risalente all’estate del 2022. Lui, però, oggi ha potuto tirare un primo sospiro di sollievo in quanto, difeso dall’avvocato Giovanni Pignataro, è stato assolto sia dal reato di stalking che da quello di violazione del divieto di avvicinamento alla vittima, che vittima non è.
«Abbiamo dimostrato le tante falsità di questa vicenda – spiega il legale dopo la sentenza -. Il giudice ha capito che dai messaggi che si scambiavano, dai video del motel in cui passavano le notti che per la donna non c’era nessuna costrizione e nessuna violenza in quel rapporto. Il mio assistito, accecato dall’amore, si è fatto sopraffare».
Lo stesso giudice ha richiamato la denunciante più volte all’obbligo della verità durante la sua deposizione ma ora c’è un altro processo, sempre per stalking relativo ad un altro periodo della loro relazione, gestito allo stesso modo dalla presunta vittima: «Speriamo che capisca che è il caso di ritirare la querela – prosegue Pignataro, che aggiunge -. Stiamo vedendo troppi processi che intasano le aule di giustizia, scaturiti dal cosiddetto “codice rosso” che si rivelano poco più che beghe famigliari con il rischio che le vere violenze non vengano fuori».
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