“Il tuo capo è un prezzolato”: il sindacalista denuncia, e per il giudice è diffamazione

Nei guai il legale rappresentante di un’azienda di Varese che nel corso di una vertenza di lavoro ha apostrofato in quel modo il segretario di una sigla sindacale

toga tribunale apertura

Prezzolato: “Pagato a fini dichiaratamente criminali o comunque illeciti e disonesti“. Se lo si pronuncia all’attenzione di un killer professionista, meglio se condannato in via definitiva, non si corre alcun rischio (nelle aule di giustizia).

Se la parola viene rivolta ad un sindacalista nel corso di una vertenza sindacale alla presenza di più di due persone si rischia – come in effetti avvenuto – una condanna per diffamazione. Lo ha deciso il giudice di Pace di Varese dopo la querela sporta per fatti che risalgono al 2017 e vinta dal sindacalista cui era rivolta quella che il tribunale ha valutato come espressione diffamatoria. In quel frangente era in corso una sorta di vertenza legata ad un procedimento disciplinare dove era presente la legale rappresentante delegata alle relazioni industriali di un’azienda del Varesotto, il dipendente verso il quale era sub judice la misura, e un delegato sindacale (non il soggetto cui verranno rivale le offese).

Per la legge è il mix perfetto per integrare il reato previsto dall’articolo 595 del codice penale: assenza del soggetto cui l’epiteto è rivolto, presenza di più di due persone (a cui si può aggiungere, nei casi più gravi, un fatto determinato, e l’ulteriore aggravamento dell’uso di mezzi di comunicazione, come giornali o social).

È in questo frangente che la manager ha pronunciato secondo le accuse la frase incriminata al sindacalista presente: «Il tuo capo è un prezzolato». Il «capo» in questione – alla segreteria locale di un’organizzazione sindacale minore ma pur sempre rappresentativa degli interessi collettivi dei lavoratori – , cioè il sindacalista offeso ha denunciato attraverso il suo legale, l’avvocato Rosario Musolino, e il caso di diffamazione “semplice“ è così finito di fronte al giudice di Pace di Varese che ha emesso la sentenza di primo grado.

Il dispositivo della decisione del giudice prevede una condanna alla multa di 600 euro, più 1.000 euro di risarcimento danni (sono danni che altrimenti si possono chiedere anche in sede civile ma occorre attivare un procedimento separato e di solito più lungo del penale), oltre alle spese legali.

«È chiaro che il giudice ha valutato l’offesa nel contesto», ha spiegato l’avvocato Musolino. «Per un criminale, quell’appellativo può non essere offensivo della reputazione, mentre per chi difende i diritti dei lavoratori, venir apostrofato in quel modo rappresenta un elemento che mina l’onorabilità del soggetto».

Andrea Camurani
andrea.camurani@varesenews.it

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Pubblicato il 10 Maggio 2023
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