Luino, «Quando i muri non fanno paura»
Marina Perozzi della Comunità Operosa Alto Verbano racconta la sua esperienza di collaborazione con alcuni ragazzi luinesi nell’ambito del progetto “CibiAmoLuino”
(A cura di Marina Perozzi)
“Non mi interessa essere capito, mi interessa essere, capito?” Questa frase del rapper e cantautore Caparezza, fa da cappello alla sezione dedicata agli adolescenti e giovani sul sito internet della “Cooperativa lotta contro l’emarginazione”, che, dal 31 luglio al 4 agosto scorso, ha coordinato una decina di ragazzi del luinese in un progetto di educativa territoriale. Scopo principale dell’iniziativa quello di realizzare un murale in via Ronchetto, lungo il lato del supermercato Novacoop di Luino verso la sede dei Servizi Sociali del Comune.
Come trasformare 22 metri di questa lunga e triste parete grigia, sporca, consunta dal tempo, più simile alla periferia
degradata di una metropoli che ad un angolo di una ridente cittadina lacustre, in un’esplosione di colori e allegria, in grado di trasmettere anche un accattivante messaggio a favore di una corretta e sana alimentazione? Quali il denominatore comune, le risorse, gli scopi educativi, i promotori e i partners di quest’operazione di riassetto urbano?
Il progetto “Im.patto-CibiAmoLuino”, promosso da NovaCoop con lo scopo di co-progettare, insieme alle realtà locali, azioni di sensibilizzazione e promozione sui temi del cibo, della salute, del benessere e della sostenibilità, ha individuato nell’Assessorato alle Politiche Sociali e Giovanili del Comune di Luino e nella Comunità Operosa Alto Verbano i partners ideali per dare vita ad una serie di iniziative, tra le quali rientra quella denominata “Ci sto? Affare Fatica”, progetto di educativa di strada già avviato nel 2022 con la riqualificazione del lungolago verso la zona Serenelle.
Quest’anno ecco, dunque, nascere e svilupparsi l’idea di un murale, coinvolgendo diversi attori: dal writer “Sea Creative” alias Fabrizio Sarti, artista esperto di arte di strada, agli educatori Giulia e Francesco, fino alla figura di una “handywoman”, con il compito di tuttofare, ma anche di osservatrice. E poi, soprattutto loro: Adam, Edoardo, Elisa, Francesco, Hassan, Mattia, Mohamed, Samuele, Yakuba e Zakaria, coloro che hanno dato vita e colore all’idea nata dalla fantasia di “Fabri”.
A questi ragazzi, di età compresa tra i 14 e i 19 anni, non interessava sapere che stavano partecipando ad un’operazione di “urbanistica tattica” per rafforzare il senso di appartenenza al territorio prendendosene cura in modo attivo; non si sono nemmeno accorti delle differenti etnie, perché hanno condiviso l’impegno e l’attenzione nel realizzare insieme il murale, seguendo scrupolosamente le indicazioni del writer; nessuna diffidenza tra loro, con la musica condivisa dagli smartphones a fare da collante, quando i differenti linguaggi ostacolavano la comunicazione e la condivisione delle emozioni.
E incredibilmente anche le distanze generazionali e i differenti ruoli degli adulti rispetto ai teenagers, sono stati totalmente annullati dal lavoro di squadra, sia nei momenti di lavoro con rulli e pennelli che di pausa per una merenda o anche semplicemente per osservare da lontano o in una differente prospettiva il grande murale che stava prendendo forma sotto gli occhi dei passanti. “Bravi ragazzi!” “Bel lavoro, complimenti”. Sorrisi e lodi ai quali si sono sottratti con ritrosia, nascondendosi sotto la visiera dei berretti calati sugli occhi per proteggersi dal sole, ma di cui, in fondo, erano compiaciuti e orgogliosi, quasi increduli di essere stati in grado di compiere un’impresa di così forte impatto visivo. “Fabri, ma metterai anche le nostre firme?” Non hanno smesso di chiedere a lavoro ultimato.
Ecco, l’appartenenza al territorio è anche questa: essere consapevoli di aver lasciato un’impronta duratura, di aver vissuto un’esperienza da poter raccontare a testimonianza della voglia di esserci, con la propria personalità, ma anche con le proprie fragilità e il proprio vissuto, con il desiderio di donare qualcosa di positivo alla collettività, magari con l’inconsapevole presunzione di dimostrare che il dialogo e la cooperazione sono sempre possibili, se si sanno creare le giuste opportunità e se c’è la volontà di mettersi in ascolto. Chissà se, ripensando a questi giorni di frenetica attività dei nostri ragazzi (sì, perché dopo aver condiviso tante “fatiche” non si può che considerarli “nostri”) avremo imparato qualcosa anche noi, per esempio che, come scriveva Andrea Camilleri, “non bisogna mai avere paura dell’altro, perché tu, rispetto all’altro, sei l’altro”… Noi siamo convinti di sì.
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