L’11 settembre in Cile, “prima un silenzio strano, poi i carri armati nelle strade”

Cinquant'anni fa il generale Pinochet guidava il golpe che aprì una dittatura costata migliaia di morti, desaparecidos, torturati. Il racconto di Walter Kesten, che militava in un movimento di sinistra e lasciò il Cile per l'Italia, dopo che i suoi compagni erano stati arrestati

Cile 1973

«Quella mattina c’era un silenzio strano, mi son chiesto perché. Poi ho sentito il rumore di carri armati, in strada c’era una colonna di mezzi da sbarco. I telefoni erano muti, alla radio tutte le stazioni trasmettevano il comunicato, si parlava di “nuova autorità”».

Walter Kesten aveva 21 anni, l’11 settembre 1973, in Cile. Quella mattina le forze armate cilene, guidate dal generale Augusto Pinochet, avviarono il colpo di stato, uccisero il presidente Salvador Allende. La dittatura durò fino al 1990: oltre duemila morti accertati, più di mille “desaparecidos”, quasi diecimila vittime dirette, tra torturati e incarcerati.

Incontriamo Walter Kesten a Busto Arsizio, nella zona dell’Alto Milanese.
È in Italia dal 1975, se n’è andato dal Cile insieme alla sua ragazza poco più di un anno dopo il golpe, mentre si stringeva intorno a lui la morsa della repressione. È una storia tra tante di cileni accolti come esuli in Italia, in un periodo in cui era sentita la solidarietà internazionale verso i popoli sottoposti a dittature militari, dalla Grecia al Sudamerica.

Figlio di un colonnello dell’esercito, Kesten ha una militanza iniziata al liceo: «Sono entrato alla gioventù comunista al liceo, son rimasto poco perché chiedevano una disciplina eccessiva, cieca obbedienza. Così mi sono avvicinato al Mir», il Movimento della Sinistra Rivoluzionaria che non faceva parte del governo Allende ma agiva nella società, allora in fermento di fronte allo spazio che si era prodotto per un cambiamento attento alle classi popolari.

Allende era riuscito a mettere insieme una coalizione larga (nel governo c’erano comunisti e socialisti, ma anche il partido radical e furono persino nominati ministri alcuni militari), anche se le forze ostili rimanevano forti. «La destra reagiva con gli scioperi dei camionisti, le serrate, c’era il timore dell’esercito. Si era creata la convinzione, condivisa in tutta la sinistra, che un golpe sarebbe stato improbabile, perché le forze armate di fondo erano costituzionaliste, c’erano fascisti ma era improbabile un successo, di fronte ad un atto di forza le forze armate si sarebbero spaccate. Una parte degli ufficiali erano costituzionalisti, come mio padre, ma era cresciuta l’influenza degli ufficiali che erano stati formati negli Usa».

Cile 1973
Salvador Allende in visita in una zona rurale

Il governo Allende e le prime preoccupazioni per un golpe

«All’inizio in tutta la sinistra, tranne il mio partito che era su posizioni critiche, c’era la convinzione che stando nella costituzione si potesse fare un governo non solo progressista ma rivoluzionario. E Allende ha fatto cose rivoluzionarie: ha nazionalizzato diversi settori, persino lo sfruttamento del rame, principale risorsa e quello è stato troppo».
L’idea di una rivoluzione non era solo nelle stanze del potere, ma anche nella società, nelle fabbriche: «C’erano molte iniziative di base che scavalcavano i partiti, ci trovavamo con la sinistra socialista e il Mapu. Nelle campagne i militanti attuavano la riforma agraria, già approvata dalla Democrazia Cristiana ma mai applicata».

Il pericolo di un colpo di stato era sempre nell’aria. «Avevamo un dispositivo di allerta e allarme». Reti clandestine, rifugi, “case sicure” per allontanarsi dal proprio domicilio in caso di retate. «In quel periodo per ogni movimento c’era una allerta, bastava una riunione di ufficiali per mettere sul chi vive. Quella volta – dice riferendosi all’11 settembre – invece non si è saputo niente». Rispetto a un precedente tentativo di colpo di stato militare raffazonato e finito in nulla per l’intervento dei reparti lealisti dell’esercito, il golpe ideato degli ufficiali filoamericani di Augusto Pinochet fu studiato nei dettaglio.

L’11 settembre 1973

Ecco perché della mattina dell’11 settembre 1973 Kesten ricorda il silenzio anomalo del primo mattino.
«Io ero a Valparaiso, la Marina ha occupato il porto. Qualche compagno è stato arrestato già nella notte». Dopo aver visto i carri nelle strade, Kesten cerca di raggiungere lo stesso uno dei punti di raccolta d’emergenze, la sede della Canottieri vicino al mare. «Quando sono sceso in strada ogni trenta metri c’era un fante di marina, una mitragliatrice a ogni angolo. C’era il coprifuoco. A un certo punto, dopo ore, ho tentato di nuovo di uscire, ho cercato di raggiungere la Canottieri ma era circondata. Un po’ di resistenza abbiamo poi saputo che c’era stata a Santiago, nelle aree industriali».

Cile 1973

Dopo le retate per strade e gli spari dei primi giorni, la repressione è diventata strutturata, meno visibile eppure con effetti chiari a tutti. «Alla radio invitavano le persone ricercate a presentarsi alle autorità: al primo comunicato erano le autorità, i grandi nomi dei partiti. Man mano sono diventate persone sconosciute, poi hanno iniziato a dire nomi di gente che conoscevi, semplici militanti. Un giorno a casa della mia ragazza, Giannella, si sono presentati – in fuga -i due amici militanti che tenevano quella che doveva essere una “casa sicura”: li ho capito che il partito come organizzazione non esisteva più».

La militanza clandestina nel primo anno di dittatura

«Si cambiava casa la notte, ospitati da amici. Dopo un po’ di giorni sono tornato a casa temendo ogni rumore: ogni veicolo che passava era una camionetta della Marina. Io avevo pronto un poncho e un pacchetto di sigarette, perché mi dicevo: se mi prendono non dovrò chiedere una sigaretta a quelli lì. Giannella – la mia compagna – sapeva che se non tornavo entro una certa ora lei doveva sparire» (i parenti venivano arrestati e torturati, così che le urla convincessero i militanti a cedere). «Ostentavano violenza perché questo paralizza, creava terrore».

La resistenza però non scompare del tutto, nel primo anno. «Ci dicevano: ognuno di voi è un partito. E così abbiamo fatto, gruppetti piccolissimi. Rischiavo la vita per quattro volantini. Poi si è iniziato a unire piccoli gruppi. Ci hanno scoperto, sono scomparsi quasi tutti: quindici persone tra gennaio e febbraio 1975».

È in quel momento che Kesten prende la decisione di lasciare il Cile: non solo decisione privata, ma anche scelta politica. «Se per i primi due anni la posizione del Mir era non chiedere asilo, non andarsene. Quando Andrés Pascal è stato costretto all’esilio e la posizione è cambiata, si poteva ripiegare. Io avevo deciso di rimanere, ma [i vertici del partito] avevano paura che parlassi (sotto tortura, ndr)».

L’esilio in Italia

Come inizia una vita da esule? «Mi dissero che dovevo raggiungere Buenos Aires, avrei trovato due biglietti per nave per Genova. In Italia non abbiamo trovato aiuto, all’inizio. Poi a Milano ho trovato un lavoro, mentre mi laureavo. Ho fatto la Bocconi, ho poi trovato un buon lavoro».

La vita in esilio rimane anche militanza: «Con gli esuli ci si riuniva, a Milano c’erano i comitati Italia-Cile per iniziative di sensibilizzazione, organizzavano il servizio legale. Abbiamo iniziato ad avere contatti anche con altri all’estero».

Cile 1973
Manifestazione della sinistra italiana per il Cile, Milano 1973

Mentre in Italia si svolgevano manifestazioni a sostegno del Cile, non mancava la vigilanza: «L’Ufficio Politico del Ministero dell’Interno mi ha convocato: “anche con passaporto tedesco, sempre cileno sei. Permesso di sei mesi, se righi dritto”. Sapevamo che anche in Italia c’erano infiltrati: alcuni sono stati massacrati di botte qui in Italia, altri molestati. A quel punto abbiamo organizzato una intervista con il Corriere della Sera per dire che non ci saremmo fatto condizionare. Era il 1985, da lì in avanti ci hanno lasciato stare».

Il ritorno in Cile nel 1986

A giugno 1986 Kesten viene invitato a rientrare in Cile per agire con i gruppi clandestini, «c’era l’idea che fosse l’anno decisivo per una azione a Santiago per ottenere un cambiamento». Rientra in Cile ovviamente con la scusa di un lavoro regolare: all’arrivo la Polizia lo minaccia, cita l’indirizzo dei parenti per mostrare che avevano informazioni. Nel nuovo movimento comunista viene messo a formare volontari. «Erano solo ragazzini. Mi sono detto: ho lasciato una famiglia in Italia per far andare in giro i boy scout?». L’esperienza dura solo pochi mesi, durante i quali si riavvicina alla madre, «che ho scoperto solidale con me, strano per la moglie di un militare. Mi sono riscoperto figlio».

Walter Kesten
Walter Kesten oggi

Completate le riforme liberiste nella società, la stessa dittatura di Pinochet stava diventando imbarazzante anche per gli Stati Uniti che l’avevano sostenuta. Veniva avviata la transizione verso un progressivo ritorno a garanzie costituzionali, fino alla riconquista della democrazia nel 1988-1990, in modo quasi inaspettato.

E il Cile di adesso? «È cambiato, non in meglio. Non solo in economia: sono cambiato i valori, da Paese avanzato sembra evolversi come il Centro America. Le privatizzazioni hanno toccato ogni settore, prevale l’individualismo, c’è molta delinquenza». Il Cile dal 2021 ha un nuovo governo di centrosinistra, c’è stato il tentativo – fallito – di adottare una Costituzione per superare la precedente “concessa” da Pinochet. Un fallimento che pesa: «La Costituente ha lavorato malissimo, ma non avrebbe in ogni caso potuto imporre nulla, di fronte al potere economico».

Il crowdfunding continua!

Aiutaci ad attrezzare lo spazio centrale di Materia, la nuova sede di VareseNews.

Scopri come aderire e far parte di questo sogno

Roberto Morandi
roberto.morandi@varesenews.it

Fare giornalismo vuol dire raccontare i fatti, avere il coraggio di interpretarli, a volte anche cercare nel passato le radici di ciò che viviamo. È quello che provo a fare a VareseNews.

Pubblicato il 10 Settembre 2023
Leggi i commenti

Commenti

L'email è richiesta ma non verrà mostrata ai visitatori. Il contenuto di questo commento esprime il pensiero dell'autore e non rappresenta la linea editoriale di VareseNews.it, che rimane autonoma e indipendente. I messaggi inclusi nei commenti non sono testi giornalistici, ma post inviati dai singoli lettori che possono essere automaticamente pubblicati senza filtro preventivo. I commenti che includano uno o più link a siti esterni verranno rimossi in automatico dal sistema.

Vuoi leggere VareseNews senza pubblicità?
Diventa un nostro sostenitore!



Sostienici!


Oppure disabilita l'Adblock per continuare a leggere le nostre notizie.