Vittorio Emanuele III: il “re discusso” raccontato nel volume di Aldo Mola
Il penultimo Re d'Italia ebbe gravi mancanze e una vicenda personale e politica molto complessa. Il volume del Prof. Mola smussa gli angoli, ma non allevia le pesanti responsabilità del sovrano nel contrasto al fascismo ed alle leggi razziali

Salito al trono trentunenne nel 1900, all’indomani dell’uccisione del padre Umberto I a Monza, Vittorio Emanuele III fu un uomo molto preparato sul piano culturale ma, sebbene poliglotta, preferiva il francese all’italiano e, potendo scegliere, a quest’ultima lingua privilegiò persino l’inglese, avendone una padronanza completa. Sfortunato nelle fattezze fisiche, con un’altezza poco al di sopra dei 150 cm, egli non può tuttavia oggi essere ricordato come un “piccolo re” avendo avuto l’acutezza, forse non etica ma certo politica, del Patto di Londra, siglato in segreto nel 1915, con il quale l’Italia si schierò dalla parte dei futuri vincitori della I Guerra Mondiale.
Con la vittoria però i problemi aumentarono, perché l’Italia, figlia del Risorgimento, era un Paese ancora fortemente frammentato sul piano sociale e la Rivoluzione in Russia aveva esacerbato gli animi nel corso del cosiddetto “biennio rosso” 1919-20, portando alla nascita del Partito Comunista nel 1921 e prospettando la Rivoluzione anche in Italia. Il sovrano aveva dunque bisogno di un uomo forte che unificasse il Paese, garantendo la monarchia. Lo trovò nel 39enne Benito Mussolini: il futuro Duce però, forte di due soli senatori al momento dell’incarico di governo nell’ottobre 1922, si rivelò molto presto più forte di un sovrano la cui dinastia aveva quasi mille anni si storia.
Per questa ragione durante il Ventennio si è spesso parlato di ‘diarchia’ tra il Re ed il Duce.
Uno dei pochi limiti del volume del Prof. Mola è dato dall’eccessivo dettaglio, che finisce per appesantire un testo completo, pur di dichiarata impronta monarchica, sulla storia italiana della prima metà del Novecento; esso è poco focalizzato invece sui particolari biografici del sovrano. Soprattutto il testo è appesantito dal continuo riferimento ai ‘liberi muratori’ come attori rilevanti nella politica di quegli anni. Questo rimando alla massoneria è importante, ma ha un taglio agiografico che andrebbe sfumato, anche per non dimenticarne gli angoli bui. Mola stesso ci ricorda infatti che Amerigo Dùmini ed altri componenti della squadraccia che rapì ed uccise Giacomo Matteotti, erano massoni oltre che fascisti. Non così Mussolini.
Il giudizio sul sovrano che è morto alla vigilia dell’entrata in vigore della Costituzione e che riposa nel Santuario di Vicoforte (CN) può essere oggi più sereno, ma non può prescindere dallo Statuto Albertino il quale niente affatto assolve, bensì inchioda il re alle proprie responsabilità. Lo Statuto infatti indicava all’Art. 5 che “Al Re solo appartiene il potere esecutivo”, nonché all’Art. 7 che “Il Re solo sanziona le leggi e le promulga” ed infine all’Art. 68 che “La Giustizia emana dal Re”. Quindi è indiscutibile che il sovrano avrebbe potuto opporsi al grave discorso pronunciato da Mussolini in Parlamento, il 3 gennaio 1925 (con particolare riferimento al delitto Matteotti) così come avrebbe potuto opporsi alle leggi razziali nel 1938. Le prime diedero infatti all’Italia una dittatura, le seconde fecero del fascismo un’assoluta barbarie. Il re poteva dunque opporsi e non lo fece; è questo che rende Vittorio Emanuele III colpevole, tanto quanto immortale alla storiografia sul XX secolo.
Scheda libri:
Aldo A. Mola – “Vita di Vittorio Emanuele III” – Bompiani – 2023 – pp. 581
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