Dai Verdena sul Lago Maggiore ai Simpson, da Achille Lauro a Batman: i tanti tributi a Kurt Cobain

A trent'anni dalla scomparsa del leader dei Nirvana, abbiamo selezionato i brani che in questi anni hanno omaggiato il cantautore scomparso a soli 27 anni il 5 aprile 1994

nevermind nirvana

«Ha riunito le persone che amava e se le è portate in giro per dire addio». Così Micheal Stipe, leader dei Rem, avrebbe commentato una data spartiacque nella storia della popular music: il 5 aprile 1994, quel giorno con un colpo di fucile l’amico e “fratello minore” Kurt Cobain poneva fine alla propria vita e di conseguenza anche alla breve ma intensa discografia dei Nirvana.

In un mondo a cavallo tra l’analogico e il digitale alla band di Seattle bastarono tre LP in sette anni (Bleach, Nevermind e In Utero) per intraprendere una vertiginosa scalata che avrebbe reso singoli, b-sides e perso le demo dei Nirvana degli instant classic, oggi in cima alle playlist di Spotify e cartine di tornasole dello zeitgeist degli Anni 90.

Prima dell’arrivo delle camice di flanella e dei freak su larga scala, un sound così sporco nella sua sensibilità e così fragile nella auto-distruttività non si era mai sentito in radio e su Mtv, a frequenze a così ampio raggio ancora abituate a considerare le Città del Paradiso quelle in cui alle ragazze altro non era richiesto se non essere graziose (ma non è questa la sede per ritornare sulla rivalità tra Guns n’ Roses e Nirvana).

UNO TSUNAMI CHE PORTO’ LA PERIFERIA AL  CENTRO

La voce cavernosa e carica di sofferenza di Cobain portò un messaggio in controtendenza rispetto agi eroi della generazione in quel momento in auge: dietro a una rockstar può celarsi anche una maschera tragica e non per forza un rapace tombeur stra-pompato di mascolinità tossica. Quella piccola rivoluzione esplose definitivamente nel 1991 con il passaggio ad una major discografica e l’uscita del più accessibile Nevermind: da fragorosa onda metallica il suono dei Nirvana presto si tramutò in un vero e proprio tsunami corrosivo che avrebbe portato al centro del mondo musicale una periferia repulsiva.

In quella inaspettata fiumana di ascoltatori si sarebbero raccolte milioni di persone, per lo più ragazzi ancora senza rappresentanza che si sentivano relegati ai margini di un mondo di grandi e di preti e che si unirono sotto la bandiera del disagio giovanile, lo stesso provato dal cantante della band in adolescenza a partite dal divorzio dei suoi genitori, vissuto impotentemente come un trauma (il rapporto di Cobain col padre sarebbe diventato pessimo). Perché nei Nirvana, ancora oggi, c’è chi ascoltando quei testi intrisi di un titanismo – spiritualmente più affine a Esenin o a Majakovskij che alle rockstar da copertina – avverte lo stesso lancinante dolore allo stomaco che provava in vita il cantante e chi – pur legittimamente ma malgrado la volontà del cantante – si accontenta del pretesto per poter pogare sbronzo sotto il ferale riff di chitarra di Smells like teen spirits, inno generazionale così «stupid and contagious» da diventare in breve tempo la tanto odiata gabbia dorata («La rabbia dei giovani ha pagato bene, ora solo vecchio e annoiato» recita Serve the servants, l’incipit del successivo LP In Utero).

Come un personaggio nato dalla penna di Herman Hesse, ha vissuto una vita a corrente alternata, spaccata continuamente dall’instabilità di un dualismo irreparabile. Oggi non sarebbe l’antieroe per antonomasia degli Anni 90 se quella scalata all’Olimpo della musica non si fosse rivelata in realtà una catabasi demoniaca all’interno dello show business o, peggio ancora, una apocrifa Via Crucis di un ragazzo che scappò per un breve tempo dalla casa di sua madre per andare a vivere sotto un ponte (e attorno a questo episodio è legata la nascita del brano Something in the way). Erano le prime, adolescenziali, forme di ricerca di allontanamento del dolore che lo penetrava ogni secondo. Il suo percorso si sarebbe ben presto sviluppato su due sentieri interconnessi, da una parte un aspetto fisico e tossico, legato all’abuso di sostanze, dall’altra uno spirituale, volto ad oriente, nel Nirvana, la strada per scappare dallo star system, dalla plastica, dalla patina e del kitsch statunitense degli Anni 80. Con la sua Fender Jaguar cercava incessantemente la rotta per il bardo tibetano ma alla fine lo tsunami lo fece approdare altrove, ad El Dorado e lì si riscoprì un infelice Re Mida costretto con le orecchie d’asino ad ascoltare il ritornello di My My, Hey Hey di Neil Young: Il suo fuoco bruciò in fretta.

Quello che è certo è che, per quanto breve, quella dei Nirvana non fu solo una parentesi nel mondo della musica. La moda giovanile del grunge sarebbe passata col passare degli anni e l’ingresso nella vita adulta di molti ragazzi pose fine all’utilizzo in larga scale delle camicie di flanella, come prima fecero i glitter o le borchie e negli anni duemila i ciuffi neri e “piastrati” degli emo, ma l’eredità spirituale di Cobain è stata molto più profonda e  continua a essere portata avanti e omaggiata nelle forme più disparate.

Ecco alcuni esempi che vanno dalla musica italiana ai moderni cinecomics.

VERDENA:

Al momento del debutto discografico i Verdena sono stati considerati una sorta di riproposizione italiana dei Nirvana. La band di Albino riuscì a discostarsi definitivamente dall’etichetta di “surrogato tricolore” nella seconda metà della propria ricca ed articolata carriera. I Verdena hanno spesso omaggiato i loro artisti preferiti e fonte di ispirazione (non c’è canzone senza citazione), e così è stato anche coi Nirvana e Kurt Cobain. Il nome del disco Il Suicidio dei Samurai (2004) è infatti un riferimento alla omonima canzone dei Fecal Matter, primo gruppo di un giovanissimo Cobain.

Un altro riferimento si trova invece nel ritornello di Angie (2007), canzone (il titolo è invece una strizzata d’occhio ai Rolling Stones) il cui videoclip è stato girato su un battello della Navigazione Laghi nelle acque del Lago Maggiore.

Il verso del ritornello di Angie «Dio è gay» è una riproposizione del ritornello di Stay Away «God is gay», frase che Cobain utilizzò per vandalizzare i muri di Aberdeen: per il gesto vandalico venne arrestato nel 1986. Una frase provocatoria sì, ma blasfema solo per chi considera l’omosessualità un errore, un peccato contro quello stesso Dio che dovrebbe essere misericordioso. Nel corso della sua vita cantante si sentì emarginato e in risposta si mostrò solidale verso le persone discriminate. È risaputo che da ragazzo la madre gli impedì di frequentare un amico omosessuale senza una vera motivazione, se non l’omofobia della sua famiglia. Quel divieto, quel legame mancato, lo segnò profondamento.

TRE ALLEGRI RAGAZZI MORTI:

Ne I Cacciatori (2012) i Tre Allegri Ragazzi Morti raccontano la storia di un quindicenne ucciso durante una battuta di caccia e nascosto per anni da un gruppo di battitori in un giardino. Il tragico incidente è in realtà una metafora per raccontare il malessere giovanile: la vera mortificazione del ragazzo dai capelli blu è avvenuta in vita, con una società chiusa su se stessa davanti alle necessità di un giovane di provincia, tagliato fuori dal mondo in una fase di transizione storica come i Novanta («In Italia i tempi sono da elefanti, chi ce la fa non ascolta la mia musica»).

Per rendere ancora più potente il messaggio, il cantante dei Tarm Davide Toffolo ha voluto ambientare il brano negli stessi giorni della morte di Kurt Cobain, così da creare un poetico parallelismo tra il protagonista del brano e il cantante dei Nirvana, entrambi morti per un colpo di fucile. («Considerato perduto ma in verità ammazzato // Ci fosse stato un funerale avreste pianto per me, ma erano i giorni per piangere Kurt Cobain // C’è scritto sul giornale che si è sparato in faccia non ce l’ha fatta a reggere al business»).

ACHILLE LAURO:       

Più recentemente l’omaggio è arrivato dal mondo del pop e del mainstream. Nel 2021 Achille Lauro ha voluto infatti re-inscenare l’Unplugged a Mtv per il videoclip della sua Marilù canzone «per alcuni un manifesto femminista, per altri la storia della vita, per me imparare cosa vuol dire crescere» spiegò il cantante, da sempre molto abile nel riproporre visivamente reinterpretazioni di momenti e quadri iconici. Nel mondo della musica quel concerto in acustico dei Nirvana, con l’immagine di un Cobain spento e avvolto nel cardigan verde, sta agli Anni 90 come il Live Aid dei Queen agli Anni 80 e l’esibizione di Hendrix a Woodstock durante il periodo della Guerra in Vietnam. L’Unplugged sarebbe diventato talmente memorabile che ancora oggi molte persone sono convinte che The Man Who Sold the World sia una canzone dei Nirvana. In realtà si trattava di una cover tratta dal secondo LP di David Bowie. Uno dei tanti tributi fatto da Cobain verso gli artisti che maggiormente lo influenzarono.

BLINK-182:

Per Mark Hoppus, cantante e bassista dei blink-182, i Nirvana sono sempre stati un punto di riferimento imprescindibile. Nel 2003, in occasione dell’omonimo disco, la band modificò il logo sulla base del popolare smile dei Nirvana.

Ancora più esplicita è la seconda strofa di Adam’s Song, una delle canzoni più famose del trio californiano che affronta il tema della solitudine e del suicidio, nonostante il finale che ribalta la prospettiva. Il testo scritto da Hoppus recita infatti: «I took my time, I hurried up, the choice was mine», una riproposizione in prima persona dei versi di Come as You are: «Take your time, hurry up, choice is yours, don’t be late».

I SIMPSON:

La fama e il lascito dei Nirvana sono approdati anche sul piccolo e grande schermo. In un episodio del 2008, una parodia di That’s 70s Show, i Simpson decisero di riscrivere e ambientare la storia d’amore tra Homer e Marge durante l’epopea grunge della decade precedente. Non senza ironia verso l’estetica e la cultura di fine millennio, Homer si trova così a ripercorrere a rivivere l’intensa parabola dei Nirvana come frontman dei Sadgsam (I Tristorgasmo), band che – nella storia dei personaggi dal volto giallo – sarebbe stata d’ispirazione per il sound cercato dalla band di Seattle con Shave Me (una versione su simpsoniana di Rape Me). La gag con il fittizio cugino Marvin Cobain è una simpatica citazione alla scena del concerto del film Ritorno al Futuro.

BATMAN:

Per l’ultima apparizione al cinema di Batman (2022) il registra Matt Reeves ha voluto descrivere un eroe cupo alle prime fasi della propria carriera da crociato incappucciato, ben lontano dal lussuoso playboy – seppur di facciata – visto in alcuni albi di fumetti (o nella versione cinematografica di George Clooney).

Ancora alle prese con la rabbia e il dolore per la scomparsa violenta e improvvisa dei genitori (tematica centrale nella pellicola), il Bruce Wayne interpretato da Robert Pattinson è un basato proprio sul leader dei Nirvana. Secondo il regista il suo Batman «è un uomo che ha vissuto una tragedia immane ed è diventato un recluso. Un Kurt Cobain immaginario, rinchiuso in una villa decadente». Non è un caso allora che la canzone che sarà da sottofondo al monologo centrale del film sia proprio la sopra citata Something in the Way, le cui note sono state anche la base per il compositore Michael Giacchino per la stesura del potentissimo tema a mo’ di requiem che accompagna il film. «Quello che ho fatto avuto un effetto, ma non quello che mi aspettavo» dirà Batman/Bruce Wayne nelle battute conclusive del film, una frase che avrebbe potuto dire benissimo anche Kurt Cobain.

Marco Tresca
marco.cippio.tresca@gmail.com

 

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Pubblicato il 05 Aprile 2024
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