Rallentare per non perdersi: in “Non sono bravo” Mett canta un antidoto alla frenesia
Nelle sei tracce pubblicate lo scorso 11 ottobre il cantante nato e cresciuto a Varese esplora se stesso in un "viaggio intimo". Al centro del disco la Fomo: la "paura di essere tagliati fuori" che colpisce la sua generazione

Spegnere la luce in camera, inserire una cassetta, o un cd, nello stereo, premere il tasto “play” e lasciare scorrere il tempo, senza fretta, per fermarsi e guardare dentro se stessi. È questa l’immagine visiva, testuale e musicale evocata da Mett, Tommaso Matta, nel suo nuovo ep Non sono bravo.
A partire dal nome del breve disco, pubblicato in formato digitale da Ada Msuci lo scorso 11 ottobre, il cantante classe 2002 nato e cresciuto a Varese ha scelto di esternare quella forte pressione di «non essere all’altezza» comune a tanti giovani della nuova generazione. Una condizione che lui stesso vive, non solo sul palco, bensì tutti i giorni.
Da quando ha 19 anni, Mett vive a Milano, dove studia informatica e canta. Nella capitale italiana della musica – «dove la vita è molto più dinamica, ma anche più frenetica, rispetto a Varese» – collabora con Federico Caon, Luca Re e Carlo Giorgetti – anche originari loro della provincia dei Sette Laghi – insieme ai quali ha formato il collettivo Outsoon e Trafouse, un «centro creativo per artisti e progetti emergenti». Ma per ogni luce che brilla, o fatta brillare dei neon della metropoli meneghina, c’è inevitabilmente anche un’ombra ancora più intensa che si proietta.
«A Milano la scena non è unita. Anche se è molto varia e facile conoscersi. Con il collettivo Outsoon l’obiettivo è proprio quello di dare vita a un “sottobosco” di artisti emergenti a Milano e cercare nuove connessioni – spiega – L’altro lato della medaglia è che in città tantissima competizione: è una gara incredibile e molti puntano a essere migliori di altri».
Proprio questo precario equilibrio – fatto di luci e ombre, di ambizioni e delusioni, di continuo confronto e paragoni con gli altri – è al centro delle sei canzoni a metà tra indie e rap prodotte insieme al «produttore e amico fraterno Kiriku (Riccardo Lelli)». Come nei famosi 33 giri, Non sono bravo si può idealmente scomporre in un lato A e un lato B, distinti quasi come il giorno e la notte: il primo lato è composto da tre canzoni (Ricordati che, Complicato, A mezzanotte vado) e racchiude le canzoni più energiche, incarnazioni della nevrosi meneghina, mentre il secondo trittico (Valvola di sfogo, Non sono bravo a farlo e Strappami un bacio) proietta l’ascoltatore in una dimensione più intima, lofi e da cameretta, dove fermarsi per srotolare il bandolo dei pensieri aggrovigliati in una Valvola di Sfogo.
«Vado sempre nel panico e Milano non mi sente» canta nel brano Non sono bravo a farlo, la traccia embrionale per lo sviluppo dell’ep, quella che darà in parte anche il titolo alla raccolta. «Non sono bravo a farlo è una delle prime idee che ho avuto, anche se è stata finalizzata praticamente solo al termine del “progetto”, quando abbiamo deciso di raccogliere quei brani che condividevano tra di loro questo legame» – racconta Mett -. Considero la canzone un invito a prendere le insicurezze che ognuno di noi ha e a rendersi conto che non sono difetti: sono solo una parte di noi. Anche “non essere bravo” può essere qualcosa di figo».
A far battere il cuore dei 17 minuti dell’ep, seppur appunto con diverse pulsazioni sul beat, è il tema del «controllo», o meglio, come questo è gestito in una fase particolare della vita, quando si entra a pieno effetto nella vita degli adulti e si ha a che fare con le prime vere responsabilità, come vivere fuori casa per la prima volta.
Il “controllo” è anche il centro di gravità della canzone forse più rappresentativa dell’ep, Complicato: «In Complicato scrivo del bisogno della perdita di controllo, anche quello comportamentale di quando si è in pubblico, o in una relazione. Mi riferisco al bisogno di apparire sempre perfetto e di rientrare in certi costrutti sociali, a discapito invece di ciò che sono veramente».
Non è un caso dunque che sempre in Non bravo a farlo si menzioni esplicitamente la fomo, ovvero la fear of missing out, la paura di essere tagliati fuori che in particolare colpisce i giovani ed è alimentata dall’utilizzo dei social, dalla continua esposizione alle vite, apparentemente, perfette degli altri. «Cresco con l’età, questa realtà mi aumenta la fomo».
«Fomo era uno dei titoli papabili per l’ep – svela Mett -. Senza dubbio rappresenta uno, se non il, centro da cui poi gran parte del processo creativo è derivato. All’interno dell’ep la parola alla fine è rimasta soltanto lì, nella canzone, quasi come un puntino, però è il motore di tutto quanto. La fomo era il mio problema quando vivevo a Varese e lo è ancora, in forme diverse, a Milano. La paura di essere tagliati fuori si tramuta nella paura di non essere bravi. Nell’ep canto della ricerca di questa consapevolezza».
Dai Joy Division (She’s lost control) passando per gli Arcade Fire e le “mani sul volante” (metafora delle redini della vita) nel disco vincitore assoluto ai Grammy 2010 The Suburbs. Il tema del controllo è ricorrente in tanti “musicisti simbolo” anche per le generazioni passate, che pure hanno raccontato quella fase della vita più sensibile delle altre. Qual è e come è cambiato il rapporto che i giovani hanno oggi con il controllo? gli chiediamo: «È un periodo della vita in cui naturalmente passano da sempre tutti, ma è anche una questione generazionale. Oggi è una tematica comune a tanti artisti. In questo periodo storico è tutto ancora più vivo, amplificato: qualsiasi artista su un palco diventa di dominio pubblico se viene ripreso da un telefonino, se uno smartphone ti viene puntato addosso. Tutto ciò aumenta l’ansia di avere tutto sotto controllo. È difficile ma sto imparando a lasciare andare. Comunque l’immagine della “guida al volante” mi fa venire in mente che non appena avevo preso la patente ero molto preoccupato, pensavo “oddio, mi hanno messo al controllo di una macchina”. Guidare in autostrada mi creava attacchi di panico. Quello è stato forse il primo segnale che dovevo rallentare, come canto nel disco».
«Il mio vuole essere soprattutto un invito, prima di tutto verso me stesso – conclude -. È un percorso che sto ancora affrontando. È importante essere consapevoli che esiste un limite fisico: è impossibile essere “sempre e ovunque”. Questo non significa “rimanere tagliato fuori”, ma essere “umano”».
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