Un nuovo studio sulla malattia di Huntington apre alla prevenzione, nella ricerca anche la ricercatrice di Castellanza Michela Leocadi
Il paper scientifico è stato appena pubblicato su Nature Medicine
 
																			
                        
						
						
						
						Una ricercatrice di Castellanza, Michela Leocadi, è tra gli autori di un importante studio scientifico pubblicato su Nature Medicine (lo trovate a questo link) che ha messo in luce come la malattia di Huntington, una rara malattia neurodegenerativa, possa essere rilevata nel cervello decenni prima che compaiano i sintomi clinici. La scoperta, che ha coinvolto un team di esperti provenienti da tutto il mondo, rappresenta una pietra miliare nella comprensione precoce della malattia e offre nuove speranze per lo sviluppo di trattamenti preventivi.
Lo studio è stato diretto dalla Professoressa Sarah Tabrizi, e tra i primi autori del lavoro ci sono i ricercatori Rachael Scahill e Mena Farag. Michela Leocadi, che attualmente lavora presso l’University College London (UCL), è una figura chiave di questa ricerca internazionale. Originaria di Castellanza, ha conseguito un Dottorato di Ricerca Internazionale presso l’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano, dove ha iniziato il suo percorso di studi che l’ha portata poi all’estero, in Inghilterra, dove oggi svolge il suo lavoro di ricerca.
Il team di ricercatori ha analizzato i cambiamenti cerebrali e i biomarcatori nel liquido cerebrospinale di persone che portano il gene mutato responsabile della malattia di Huntington, ma che non hanno ancora sviluppato i sintomi evidenti della malattia. I risultati hanno mostrato che i cambiamenti cerebrali legati alla neurodegenerazione iniziano anni, se non decenni, prima che la malattia venga diagnosticata. Questo nuovo approccio potrebbe cambiare radicalmente il modo in cui affrontiamo la malattia, permettendo di intervenire in fase preclinica con terapie mirate per prevenire la progressione.
Gli scienziati sperano che, grazie a questi nuovi dati, si possano sviluppare trattamenti preventivi che possano bloccare o ritardare l’insorgenza della malattia in chi è geneticamente predisposto, ma che non ha ancora mostrato i segni evidenti della patologia.
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