Stefano Clerici: “La tragedia di Martina e l’ossessione di un patriarcato onnipresente”
L'opinione dell'ex consigliere comunale di Varese:" Una tragedia come quella di Martina non nasce dalla “oppressione maschile”, ma da un vuoto di adultità, da un’assenza di guida, di regole, di protezione"

Egregio Direttore,
La morte di Martina Carbonaro, la 14enne di Afragola uccisa dal suo ex fidanzato di 19 anni, è una ferita dolorosa per l’intero Paese. È una vicenda che scuote e impone una riflessione profonda non solo sulla violenza, ma anche sulla società in cui questa violenza esplode. Eppure, come spesso accade, il dibattito pubblico si è velocemente cristallizzato attorno a una lettura unica e semplificata: quella del patriarcato onnipresente, considerato automaticamente responsabile di ogni dramma che coinvolge una donna o una ragazza. Ma è davvero così?
Se fossimo davvero immersi in un patriarcato rigido e pervasivo, una ragazza di 14 anni non vivrebbe una libertà tale da potersi proiettare nel mondo adulto con tanta disinvoltura. In un vero sistema patriarcale — per quanto discutibile esso sia — l’autorità degli adulti, in particolare quella della famiglia, eserciterebbe un controllo ferreo sulla crescita delle giovani. Le adolescenti non verrebbero lasciate a se stesse, né immerse in un mare di social network, contatti virtuali, relazioni sentimentali con ragazzi molto più grandi, sessualizzazione precoce e totale assenza di confini chiari.
Quello che osserviamo, invece, è un quadro profondamente diverso: viviamo in una società che ha smantellato molti dei codici tradizionali che fungevano da cornice e da contenimento. Il confine tra infanzia e età adulta si è fatto sottile, evanescente. Le adolescenti vengono rappresentate e si autorappresentano come donne adulte, con libertà quasi assolute su scelte e frequentazioni. Questo non è patriarcato: è un sistema confuso, iper-permissivo, ipersessualizzato, dove l’età non è più un parametro rispettato, ma una variabile negoziabile.
In questo contesto, una tragedia come quella di Martina non nasce dalla “oppressione maschile”, ma da un vuoto di adultità, da un’assenza di guida, di regole, di protezione. E anche da una cultura della relazione priva di educazione sentimentale e responsabilità. Il fatto che una ragazzina potesse vivere una relazione con un diciannovenne senza che ciò suscitasse allarmi o interventi preventivi è un sintomo di una società che ha perso l’orientamento, non di una società che controlla o reprime.
Attribuire ogni tragedia di questo tipo al patriarcato è una scorciatoia ideologica. Serve a politicizzare il dolore, a capitalizzare l’indignazione pubblica, a sostenere agende che hanno poco a che fare con la realtà concreta delle vite spezzate. Ma mentre si grida al patriarcato, si tace su ciò che davvero manca: la capacità di proteggere, educare, limitare quando serve. Di costruire un senso del limite, dell’età e della responsabilità che possa davvero evitare che una giovanissima vita venga recisa così presto.
Per Martina non c’è più nulla da fare. Ma per tutte le altre – lo dico da padre terrorizzato da ciò che si legge quotidianamente – il compito più urgente è recuperare il senso della protezione vera. Quella fatta di presenza, di confini, di cura. Non di slogan.
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