La mia estate da volontaria a Lombok: cosa mi ha insegnato l’Indonesia
Un reportage di Vanessa Belloni, studentessa dell’Università Cattolica, che ha trascorso due settimane come volontaria a Lombok, Indonesia, dove ha imparato il valore dell'inclusività e dello scambio culturale: "Non si tratta solo di aiutare gli altri, ma di ritrovare qualcosa di sé"
Mi chiamo Vanessa, ho vent’anni e una grande voglia di esplorare il mondo, non solo nei suoi paesaggi, ma soprattutto nelle persone che lo abitano. Così quest’estate ho intrapreso un’esperienza diversa dal solito: due settimane di volontariato nell’isola indonesiana di Lombok, a pochi chilometri da Bali, un luogo dove la natura è ancora selvaggia e la cultura locale profondamente viva.
Tutto è iniziato quasi per caso, mentre scorrevo il sito della mia università in cerca di opportunità per migliorare il mio inglese. Mi sono imbattuta nella sezione dedicata alle esperienze all’estero e lì ho scoperto i programmi di volontariato proposti dall’associazione IVHQ (International Volunteer HQ). Tra i vari progetti, costruzione, educazione sportiva, conservazione delle tartarughe marine, ho scelto quello che sentivo più vicino: l’insegnamento. Desideravo un contatto autentico con la realtà locale, conoscere il Paese attraverso chi lo vive davvero. E chi meglio dei bambini può farti vedere un luogo con gli occhi giusti?
Prima della partenza ho affrontato una serie di passaggi burocratici, visto, documenti, vaccinazioni, ma l’attesa è stata ripagata in pieno. Il 25 luglio sono partita da sola, per la prima volta, verso una meta lontana e sconosciuta. Dopo quasi 24 ore di viaggio, sono atterrata a Lombok. Ricordo ancora l’annuncio dell’assistente di volo: “Signore e signori, benvenuti sull’isola del paradiso”. Solo qualche giorno dopo ho capito veramente il senso di queste parole.
Lo staff locale mi ha accolta con calore e gentilezza, facendomi sentire subito a casa. Io condividevo la stanza con altre cinque ragazze provenienti da diversi parti del mondo. Mi ha colpito la quantità di giovani volontari presenti: studenti, coppie, famiglie, tutti con lo stesso desiderio di mettersi in gioco.
Le giornate iniziavano con una colazione preparata dallo staff, poi ciascuno raggiungeva il proprio progetto. Io e le mie compagne ci recavamo nella scuola elementare del villaggio per insegnare l’inglese. La mia classe era composta da una ventina di bambini tra gli 11 e i 12 anni. Erano vivaci, curiosi, spesso irrequieti, ma pieni di vita e voglia di giocare. All’inizio non è stato semplice catturare la loro attenzione, soprattutto quella dei maschi. Ma con il tempo ho imparato a coinvolgerli con giochi e attività interattive.
Ogni mattina ci accoglievano con i loro abbracci. Ci correvano incontro, gridando e sorridendo. Quel saluto quotidiano, così spontaneo, è stato uno dei momenti più emozionanti della mia esperienza. Nel pomeriggio tornavamo a scuola per lezioni più leggere, tra giochi, conversazioni e canzoni.
Dopo il volontariato, il tempo libero era un’occasione per scoprire l’isola. Spesso andavamo in spiaggia o al santuario delle tartarughe marine, dove abbiamo visto da vicino il lavoro di conservazione e i tramonti più belli che io abbia mai visto. Le serate si concludevano tra cene semplici e lunghe chiacchierate sotto le stelle.
A Lombok la vita scorre lenta e semplice. Le famiglie vivono principalmente di agricoltura e conservano uno stile di vita umile, ma dignitoso. In un contesto simile, imparare l’inglese rappresenta un’opportunità concreta di crescita e cambiamento per molti bambini e ragazzi. Nelle scuole si insegna inglese, ma spesso gli insegnanti sono locali, con una limitata possibilità di praticarlo realmente. È qui che i volontari madrelingua o fluenti possono fare la differenza, offrendo lezioni dinamiche e stimolanti, basate su giochi, attività artistiche, sport e musica.
Insegnare inglese mi ha permesso di creare un dialogo reale con i bambini. Comunicare nella stessa lingua ci ha avvicinati, ha reso possibile uno scambio vero. Mi hanno raccontato le loro storie e io ho cercato di raccontare la mia.
Questa esperienza mi ha fatto crescere. Ho imparato ad apprezzare la semplicità e a fidarmi degli altri. Mi ha fatto scoprire cosa mi rende felice davvero, e soprattutto, mi ha fatto incontrare persone meravigliose: compagni di viaggio con cui ho condiviso tutto e il popolo indonesiano, accogliente, gentile, dal cuore grande.
Se potessi tornare indietro, rifarei tutto. E anzi, consiglio a chiunque ne abbia la possibilità di provarci almeno una volta nella vita. Non si tratta solo di aiutare gli altri, ma di ritrovare qualcosa di sé.
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