“Siamo scimmie antropomorfe, fatte della stessa materia di cui sono fatte le stelle”

Intervista a Guido Tonelli, divulgatore e scienziato che è stato determinante nella scoperta del Bosone di Higgs. «La curiosità è fondamentale nel nostro mestiere»

guido tonelli

Il Festival della Mente di Sarzana, giunto alla 22a edizione, si conferma uno dei punti di riferimento più attivi per la divulgazione culturale in Italia, seguendo uno stile ormai riconosciuto: “iniettando” cioè un approccio pop nelle grandi tematiche affrontate.

Tra gli ospiti di spicco di quest’anno lo scienziato Guido Tonelli, noto fisico delle particelle e ricercatore presso il CERN dove ha svolto un ruolo cruciale nella scoperta del bosone di Higgs. Tonelli ha guidato 3000 scienziati provenienti da 40 diversi Paesi, confermando l’ultimo tassello del Modello Standard della fisica.
Il suo illuminante intervento, intitolato “L’invisibile meraviglia del vuoto“, ha offerto al pubblico una panoramica affascinante e accessibile sulla fisica quantistica rapportata al concetto di vuoto. Lo abbiamo intervistato.

Lei odiava la fisica per colpa di un insegnante al liceo che non amava la sua materia. Quanto sono importanti per il futuro dei ragazzi il fattore insegnamento e la passione che un docente traduce nel suo lavoro?

«Un insegnante capace di fare bene il proprio mestiere è fondamentale per lo sviluppo del Paese. I professori sono in grado di segnare il destino delle persone. Mi sono spesso confrontato con colleghi, ed è sempre emerso che la passione per il proprio lavoro giunge da professori illuminati, capaci di vedere quello che neppure tu non vedi in te stesso. Ho scelto di fare fisica per scelta opportunistica: ero orientato verso architettura, che amo, ma aveva troppi esami e quindi per favorire il mio tempo libero ho scelto fisica. Poi grazie a un professore ho scoperto la passione bruciante per questa splendida materia».

Forse non è la domanda giusta da fare ad uno scienziato, che per sua missione analizza e sperimenta. Ma quanto è importante la curiosità nel suo lavoro?

«La curiosità è fondamentale, anzi è una delle caratteristiche umane più specifiche, la condividiamo per esempio con gli scimpanzé. Per uno scienziato è fondamentale perché ci consente di utilizzare al meglio la nostra mente; nel caso di chi fa il nostro lavoro serve per cercare di vedere oltre, per non limitarsi al conosciuto. Direi che è la base della scienza, che continuamente si deve porre domande. È quindi un elemento decisivo per un ricercatore. Il punto di partenza è dunque porsi domande a cui nessuno aveva pensato, e naturalmente cercare le risposte».

Il mestiere dello scienziato è un lavoro di dettaglio, che punta spesso verso l’incongruenza.

«È vero, l’incongruenza aiuta a capire cose interessanti. L’anomalia va sempre analizzata e Fleming ne è il fulgido esempio: notò per caso che una muffa, cresciuta in una piastra di laboratorio, che aveva distrutto le colonie di batteri circostanti. Una anomalia che analizzò isolando – di fatto – la sostanza che diede vita alla penicillina, aprendo la strada alla nascita degli antibiotici e rivoluzionando la medicina moderna. Questo atteggiamento dimostra che concentrarsi sull’elemento incongruente è una delle cose fondamentali, cosa che insegniamo a fare ai nostri ragazzi».

Lei è stato a capo del progetto che ha condotto alla scoperta del bosone di Higgs, impresa scientifica e ingegneristica senza precedenti ma che ha avuto molti alti e bassi, alcuni anche eclatanti. C’è stato un momento in cui ha pensato di “spegnere i motori”?

«Nel corso della lunga ricerca abbiamo vissuto emozioni molto simili a sinusoidi: ci sono stati alti e bassi, ma siamo addestrati a questo, sappiamo andare al tappeto e avere la capacità di rialzarci. La ricerca è così, serve resistere e crederci fino in fondo e a volte oltre, contro tutto e contro tutti. Certo l’altalena delle emozioni è fluttuante, si passa dalla depressione più nera all’entusiasmo più esaltato. Superare questa condizione è fondamentale per noi ricercatori. È un atteggiamento fondamentale per chi decide di fare questo lavoro, non basta essere brillanti e intelligenti e naturalmente preparati: serve un carattere adatto e questa credo sia una delle componenti fondamentali per chi sceglie di fare questo lavoro».

Lei un giorno ha detto “Siamo scimmie antropomorfe, fatte della stessa materia di cui sono fatte le stelle”. Ce la spiega?

«Confermo! È una mia frase nella quale mi riconosco e che sostengo. Ha in sé un elemento importantissimo; siamo scimmie antropomorfe e questo richiama l’elemento biologico da cui discendiamo, ci chiamiamo sapiens ma apparteniamo appunto alla specie delle scimmie. Abbiamo cugini molto vicini a noi come scimpanzè e bonobo. Siamo fatti di calcio, ossigeno, tessuti acquosi, che non sono nati nell’universo primordiale, ma nelle stelle più massicce che sono via via esplose, disseminando nel cosmo i materiali di cui sono fatte. Immaginiamole come enormi fornaci, che hanno prodotto questi elementi che si sono riorganizzati in un sistema solare dove sono nate le prime forme di vita arrivando sino a noi. Siamo quindi animali, ma al nostro interno conserviamo un elemento nobile vista la nostra discendenza stellare».

Esistono miliardi di galassie, quindi potenzialmente miliardi di sistemi solari simili al nostro e soprattutto pianeti come la Terra? E magari forme di vita come la nostra?

«Premettiamo che si tratta naturalmente di una congettura, non abbiamo prove, ma sembrerebbe naturale come relazione. I numeri di galassie sono talmente spropositati che la percentuale di verità rispetto a questa cosa è molto probabile. È stato trovato davvero di tutto negli anni: su meteore evidenti particelle d’acqua, all’interno di nebulose forme organiche, tutti chiari messaggi che confortano questa teoria. Si pensa quindi che, anche nel nostro sistema solare, è altamente probabile che si possano trovare forme di vita, magari fossile, che hanno attraversato la nostra esistenza».

Nel suo ultimo libro “L’eleganza del vuoto” ci guida in un percorso stupendo, tra scienza e filosofia, alla ricerca del mistero più grande dell’universo: il vuoto. Vuoto che pare sia tale solo in apparenza.

«Per spiegare questo concetto bisogna attingere alla meccanica quantistica, che ci racconta come tutta la materia sia di fatto gestita da onde. Prendiamo per esempio le onde sonore che sono vibrazioni. Tramite queste onde possiamo dimostrare che se prendiamo un’onda perfetta e con una frequenza ben definita, e la rovesciamo, con la somma delle due otteniamo il silenzio assolto. Tutto questo quindi sommando due suoni. Teoricamente questa cosa è espandibile all’infinito, ottenendo un silenzio assoluto. Questo è il vuoto quantistico, che contiene materia e antimateria in eterna fluttuazione. Quindi, appunto, il vuoto di fatto non esiste».

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Pubblicato il 02 Settembre 2025
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