Caffè freddo e Campari spritz (IO vs IA -2)
Racconto di Abramo Vane, ispirato al saggio "Cavalcare la tigre dell'intelligenza artificiale". Il Cavedio
Caffè freddo e Campari spritz (IO vs IA – 2)
Tutto era iniziato con un clic. Ero lì, in pigiama, caffè freddo sulla scrivania.
La pagina bianca davanti, e io un eroe tragico armato di insicurezza e tastiera. Poi, in un momento di atavica pigrizia, ho chiesto all’AI… scrivimi l’inizio di un racconto. Roba emozionante, mi raccomando, profonda. Scrivimi di quando da ragazzo giocavo a pallone nel torneo dell’oratorio.
E zac, ecco. Tacchetti che battono sul terreno, sbucciature di sassi per chi cade, adrenalina e senso di squadra. Noi ragazzi che crescevamo a vista d’occhio, e lui, l’allenatore, una persona adulta che sapeva tutto.
L’Intelligenza artificiale mi apparve subito per quello che è, la sua faccia di tigre occupava lo schermo. Non c’era posto per una mia parola, una sillaba, un’esclamazione non banale. Ero finito, ancora prima di cominciare. Il mio incipit non usciva, ne avevo scritti e cancellati a decine… Era una bella giornata di sole, il cuore batteva alla porta, robe da vomitare. Lei invece commuoveva.
Aveva le lacrime di un ragazzo cresciuto fra le pagine di Cuore e il fascino di uno spot del Mulino Bianco. No, non potevo perdere con chi non ha mai preso un pallone in faccia né sbagliato un rigore. Buttai nel lavabo il caffè freddo, e mi feci un Campari spritz di primo mattino, poi rosolai rognoni al burro con il pensiero rivolto a Mr. Bloom*, un personaggio di carta, e innaffiai con un bicchiere di Gattinara di dieci anni, che di storie in dieci anni ne aveva da raccontare, e ne aggiunsi altri due, di bicchieri, anzi tre, e un po’ alla volta le tirai il collo, alla bottiglia… e così gli aneddoti mi venivano spontanei, frasi
storte che grondavano sincerità e lacrime vere, aforismi rubati a baristi filosofi, e un’adolescenza in cui il pallone era sempre sgonfio.
L’IA correva veloce, imperterrita, e buttava fuori testi con la precisione di un forno industriale. Adesso io le ero montato in
groppa e con lei andavo veloce. Pensavo a un finale per il mio racconto, il suo calcio di rigore messo lì all’incrocio, imparabile, a gelare lo stadio, e il mio finito come al solito sul palo. E come al solito poi tutti al bar, con gli amici a consolarmi.
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* protagonista dell’Ulisse di Joyce
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Racconto di Abramo Vane (www.ilcavedio.org)
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