Amani for Gede: come un Natale anticipato
Per i bambini poveri del villaggio lungo la costa del Kenya, ricevere degli abiti in dono - possedere qualcosa - è un'emozione che ha un fascino unico
Alla scuola di Gede, un torrido mercoledì si trasforma in un giorno speciale se è prevista la distribuzione dei vestiti mandati dai donatori italiani. Si gioca in cortile, si grida, si litiga il tempo di uno spintone e di un sorriso, qualche pedata al pallone, quattro salti con la corda, ma i bambini sono tutti in attesa di sentire la bidella Elina che li richiama per metterli in fila.
We wish you a Merry Christmas, sembra fuori contesto, eppure cattura chi ama cantare e ballare anche al caldo di un’estate kenyana, all’ombra di una pianta del chinino. E un modo come un altro per attendere un momento che è quasi Natale, con magliette, pantaloncini, gonne che appartenevano a bimbi italiani e che ora ritrovano vita con i bimbi di Gede. E che vita…
C’è addirittura un’anteprima che amplifica l’atmosfera di festa, cose possibili quando ci sono tanti volontari italiani in circolazione: una seconda colazione con distribuzione di biscotti e succo di frutta è la festa nella festa. Un rito che spesso qui si usa per far commuovere i turisti e che a volte è un circolo vizioso gestito da chi vende i biscotti giù a Watamu. Non in questo caso, però, dove la solidarietà è spontanea e la gioia vera.
Si comincia, tutti in fila per età, e ognuno riceve uno o due indumenti: ogni bambino se li stringe e corre via. Il ricevere qualcosa e il possedere qualcosa, sono emozioni che hanno un fascino unico qui. Tanto che a fine distribuzione, nessuno vuole separarsi dai doni avuti: si preferisce giocare, saltare, cantare tenendoli in mano, oppure nascondendoli sotto la maglietta. C’è addirittura chi li indossa per comodità: doppi vestiti, così non scappano e chissenefrega dei trenta gradi all’ombra.
«And what about shoes?», finita la pacchia, rimangono da distribuire le scarpe, ma non sono sufficienti per tutti, anche perché le donazioni non coincidono mai esattamente con il numero di piede di tutti i bimbi: le scarpe possono aspettare, decideranno le insegnanti a chi darle, ma sono il regalo nettamente più ambito da tutti. Possedere un paio di scarpe senza buchi, sì, è un lusso, alla scuola di Gede: la maggior parte dei bambini indossa ciabatte di gomma, ma c’è anche chi gira scalzo o, all’opposto, arriva indossando degli scarponcini aperti sul davanti: quello hanno, quello usano.
I giorni speciali fanno un po’ commuovere per il loro essere fuori da ogni immaginazione per un italiano che vive in un contesto di superfluo ovunque. Ed è un mercoledì particolare anche per gli insegnanti, giorno dell’esame d’italiano, un vero e proprio compito in classe preparato e corretto da Francesca, anima inesauribile di Merisha for Kenya. E dopo l’esame d’Italiano, via, c’è da andare a comprare i prodotti da portare in Italia per i mercatini di beneficenza.
Nel cuore di Watamu, due giovani ragazze cuciono e confezionano borse e tessuti di ogni tipo, manufatti colorati e realizzati con molta cura: l’idea dell’associazione è quella di far lavorare più persone possibili, in Kenya. E così la bancarella natalizia di Merisha for Kenya avrà dato lavoro a persone bisognose e raccoglie fondi per la scuola: doppia beneficenza, dunque.
Ma le borse non bastano, si va a Malindi in un grosso negozio/laboratorio per acquistare i famosi braccialetti, i portachiavi, i piccoli oggetti: e il viaggio è uno spettacolo, a bordo di un Matatu africano, ovvero un furgoncino in perfetto stile kenyano. Dodici posti a sedere, ventiquattro persone ammesse, di cui un paio appese fuori: ma ci va bene, perché a bordo non si condividono gli spazi con altri animali tipo galline o capre, cosa che può accadere a bordo del matatu. E musica a palla, reggae swahili. Africa totale. Bellissimo.
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