Il giornalismo alla sfida degli algoritmi: cosa cambia per lettori, redazioni e piattaforme

Un confronto serrato tra dati, piattaforme e redazioni su come algoritmi e IA stanno cambiando l’accesso alle notizie, la fiducia e il lavoro dei giornalisti al Festival Glocal, in sala Campiotti

Nel panel di oggi alla sala Campiotti del Festival Glocal, ricercatori, editori, l’Ordine dei giornalisti e Google hanno messo a fuoco come algoritmi, piattaforme e intelligenza artificiale stiano ridisegnando l’accesso alle notizie, la fiducia e la sostenibilità del lavoro giornalistico, partendo dai dati italiani del Digital News Report 2025 curato dal Master di Giornalismo di Torino e presentato da Paolo Piacenza.​

La fotografia: tanto consumo, poco interesse
Il Master di Giornalismo di Torino ha presentato i risultati italiani del Digital News Report (campione YouGov, 2.008 rispondenti, confronto con Spagna, Francia, Finlandia, Regno Unito e USA): in Italia l’interesse “alto” per le notizie è al 39%, in calo sul lungo periodo, ma la frequenza di fruizione resta tra le più elevate, seconda solo alla Finlandia, un paradosso che segnala consumo intenso ma coinvolgimento emotivo e conversazionale in diminuzione.​
La TV rimane la fonte principale (51%) e più usata settimanalmente (66%), con i social in crescita ma non dominanti; l’online come insieme di fonti ha superato la TV nell’uso settimanale, ma non come “fonte principale”, mentre podcast e chatbot IA sono ancora marginali (6% e 4% per informarsi).​

Accesso mediato: il crollo del “direct”
L’accesso diretto ai siti delle testate cala dal 27% al 16%: cresce la mediazione di motori, social e aggregatori, con Google News in testa tra gli strumenti usati, mentre le notifiche push sono disattivate o non ricevute dall’87% degli utenti, spesso perché percepite “troppe o poco utili”.​
Sui social, Facebook cala ma resta primo per uso informativo; Instagram e TikTok avanzano, specie sotto i 35 anni, mentre X/Twitter è usato per le notizie solo dal 5%; le piattaforme testuali continuano a favorire l’informazione rispetto alle visuali, pur con la forte crescita video.​

Giovani, creator e testate: chi vince l’attenzione
Sulle piattaforme, il 52% presta attenzione a fonti professionali, il 37% a creator e personalità online, il 28% a contributi “comuni”: cresce l’appeal delle fonti non tradizionali, ma aumenta anche la percezione del rischio di disinformazione associato a creator e influencer.​
Nell’audience online spicca Fanpage come player dominante; tra gli under 35, Fanpage è fonte principale per il 29%, poi Repubblica, Sky, Corriere, Ansa e Il Post, che nei giovani raddoppia il proprio posizionamento rispetto alla media nazionale.​

Pagare le notizie: il nodo irrisolto
L’Italia resta in coda per pagamenti digitali, con una disponibilità relativamente maggiore tra i giovani (abituati a pagare servizi online) ma che cala già nella fascia 25–35; i paganti si concentrano di più nei “siti di news” rispetto ai grandi marchi generalisti, a indicare che si paga quando l’offerta ha identità, valore e relazione forte.​
Il panel ha sottolineato che confondere il “mercato dell’attenzione” con il “mercato delle notizie” porta fuori strada: il business funziona dove il prodotto giornalistico è difeso nella sua identità e qualità, come mostrano casi di nicchia sostenuti da fiducia e riconoscibilità.​

IA generativa: scetticismo sul “tutto IA”, apertura all’IA “assist”
Aumenta lo scetticismo verso notizie prodotte interamente da IA (percepite meno affidabili e trasparenti), resta buona la fiducia nell’IA come supporto al lavoro giornalistico; gli utenti vedono utili traduzioni automatiche e riepiloghi che velocizzano la lettura.​
Secondo Google, le persone interrogano le fonti in modo nuovo e più lungo; con AI Mode si osservano query 2-3 volte più articolate e la capacità di orchestrare ricerche multiple per risposte complesse: “il futuro non è IA o web, ma IA e web”, con promesse di maggiore visibilità anche per contenuti di nicchia autorevoli.​

Le voci del panel: tra realismo e strategia
Carlo Bartoli (Ordine dei giornalisti) ha evidenziato la distanza tra desideri dichiarati e comportamenti reali (più gossip e interviste “leggere” attraggono clic rispetto a temi che impattano davvero la vita), prevedendo un possibile “rifugio” nelle fonti tradizionali e istituzionali dopo i casi di falsificazioni deepfake; critica i media generalisti per l’inseguimento di cliché e retroscena, a discapito di temi ambientali e di servizio.​
Marco Giovannelli (direttore VareseNews, presidente ANSO) ha rimarcato la strategicità dell’informazione locale e iperlocale, l’impatto forte delle politiche di Google su Discover e nuove feature (AI Overviews, iMode) anche per testate “molto conosciute”, e la necessità per i giornalisti di diventare “grandi connettori” dentro un ecosistema dove la parte meramente narrativa è la più sostituibile dalla tecnologia.​

Google: perché partner e come cambia la Search
Federico Sattanino (Google, area news e libri) ha spiegato la partnership sul report come tassello di un lavoro ventennale con gli editori per un ecosistema sostenibile, e la trasformazione dei prodotti per allinearsi al cambiamento degli utenti: più formati visivi, domande in linguaggio naturale, risposte sintetiche e “complesse” per ricerche articolate, con l’impegno a mantenere il dialogo con gli editori e a innovare su entrambi i fronti.​
Ogni anno su Google si fanno trilioni di ricerche e il 15% è nuovo: un ritmo di cambiamento che rende impossibile per le redazioni restare ferme a modelli di 20–30 anni fa, spingendo a ripensare prodotto, formati e relazione coi lettori.​

Locale e iperlocale: perché tengono (e contano)
Il report e gli interventi hanno confermato alta fiducia e interesse per le notizie locali: nera, servizi, cultura e tutto ciò che “tocca” la vita quotidiana; la prossimità facilita la verifica sociale (“se dici che oggi piove a Varese, tutti lo vedono”) e rafforza credibilità e legame civico.​
Nell’iperlocale vince la presenza di servizio e la riconoscibilità del lavoro nel territorio: la sostenibilità resta una sfida, ma la reputazione costruita su utilità e qualità è l’asset che difende dall’inflazione del rumore algoritmico.​

Che cosa (non) funziona nel business
Il panel ha insistito su due snodi: pagamenti bassi perché spesso il prodotto non è percepito come unico e necessario; pubblicità come “accessorio” che non può più dettare l’agenda editoriale come negli anni ’80–’00.​
Funzionano i modelli identitari con forte fiducia e nicchie consapevoli: meglio una “boutique di alta classe” che un generalismo indistinto; si paga dove c’è valore che non si trova altrove, relazione e chiarezza d’offerta.​

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 06 Novembre 2025
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