La memoria di Gino Bartali “giusto tra le nazioni” va rispettata, altro che storia inventata

Il titolo del libro dello storico Stefano Pivato è già una sentenza “L’Ossessione della memoria. Bartali e il salvataggio degli ebrei: una storia inventata” (Castelvecchi). Ma il Ginettaccio non è più tra noi per poter alzare la mano e dire al professore “l’è tutto sbagliato”

Ciclismo varie

Qual è il valore della memoria? Perché è importante ricordare e tramandare una testimonianza affinché altri, soprattutto le generazioni future la conoscano? E quando l’ultimo testimone diretto di un fatto, in questo caso di una tragedia, non ci sarà più, che valore daremo alle sue memorie tramandate? Sono domande che vanno poste in primis a noi stessi: ogni 27 gennaio, certo, ma anche ogni altro giorno dell’anno.

Voglio dedicare il mio pensiero, per il giorno della memoria, a Gino Bartali. Bartali, il giusto. Sottolineo “il giusto”, nei giorni in cui un libro, da poco uscito, lo mette in discussione: anzi, addirittura, lo nega.

Chi era Gino Bartali? Era un ciclista che divideva i tifosi, ma univa gli italiani, perché era un esempio. Era il tenace, il pio, il generoso, il brontolone, il concreto, il faticatore, uno abituato a soffrire, uno che non aveva paura di niente. Uno coerente con i propri valori morali, valori solidi come granito. E questi valori erano così solidi perché Bartali aveva la fede in Dio. Era un grande cristiano che per senso del dovere, nell’autunno 1943, rispose alla chiamata del suo padre spirituale, il cardinal Elia Dalla Costa: era il suo riferimento morale a chiedere un impegno clandestino. E Bartali accettò di entrare in una rete di persone che avrebbe salvato centinaia, forse migliaia di ebrei. Il nocciolo della vicenda è tutto lì, nel rapporto di totale fiducia, fiducia cieca, che legava Bartali al cardinal Dalla Costa e ai doveri morali.

IL LIBRO DELLO STORICO PIVATO

Ora, però, c’è un caso editoriale, un nuovo libro che sembra creato per alzare un vespaio e ci sta riuscendo. L’autore è un autorevole docente universitario, Stefano Pivato, che per l’editore Castelvecchi scrive un interessante saggio, ma lo pubblica con un titolo che è già una sentenza: “L’Ossessione della memoria. Bartali e il salvataggio degli ebrei: una storia inventata”. Una presa di posizione drastica, pesante: “storia
inventata” presuppone un castello di bugie, una malafede. Non un legittimo dubbio, bensì un giudizio netto: tutto falso. “Tutto sbagliato e da rifare”, come diceva Ginettaccio, arrivando addirittura a smentire se stesso (Pivato, due anni fa, pubblicò una celebrazione di Gino Bartali). Per tre quarti del saggio, in realtà l’autore propone un approfondimento sul metodo storiografico: cosa è memoria e cosa è storia, una dissertazione sui limiti della memoria e la necessità di un’interpretazione equilibrata che soltanto il metodo dello storico può dare. Pivato, poi, attualizza la questione legandola ai meccanismi “perversi” del web e dei social: riflessione indubbiamente importante che un docente giustamente deve suggerire ai suoi studenti.

IL SALVATAGGIO DEGLI EBREI

Il nocciolo della questione, ovvero la vicenda di Gino Bartali e il salvataggio degli ebrei, viene liquidato in poche pagine e di fatto negato per insufficienza di prove. Poiché tutta la vicenda si basa in gran parte su testimonianze orali, spesso riportate, il fatto non sussiste: non essendoci più testimoni diretti in vita, i riscontri oggettivi non sarebbero sufficienti. Gli altri autori, le numerose opere e le storiografia precedenti, tutto viene sbugiardato. Compreso lo Yed Vashem, che ha insignito Bartali del titolo di “giusto tra le nazioni”, al termine di un iter molto complesso. La conclusione dell’autorevole storico non è il legittimo dubbio, ma la negazione: “storia inventata”. Questa, secondo me, è un’operazione molto pericolosa, forse forzata dalla voglia di costruire un caso, ma la trovo moralmente discutibile, perché si presta a strumentalizzazioni facili e di basso profilo.

La mia riflessione, quella di un semplice cultore della storia orale, non mira a sfidare un accademico. No, nessuna presunzione. Voglio soltanto difendere il senso e il valore della memoria, in questo caso di un personaggio molto popolare come Bartali che oggi non è più tra noi per poter alzare la mano e dire al professore “l’è tutto sbagliato”. Non è vero che Bartali non parlò mai di questa vicenda, ne parlò spesso con alcuni amici, ma tenne sempre un “basso profilo”: ovvero, ne parlava, ma senza sentirsi un eroe, bensì come uno che fece una cosa che andava fatta e non andava detta, sotto l’egida del cardinal Dalla Costa.

Solo che allora, quando era in vita, di questa storia non fregava niente a nessuno, né agli storici, né ai giornalisti. Ci fu un libro di un americano, Alexander Ramati, era del 1978, che trattò per primo l’argomento e raccolse le prime testimonianze orali: ne ricavò un film che s’intitolava “Assisi underground” e fu un flop totale, non se lo filò nessuno. Perché allora, nei primi anni Ottanta, non interessava a nessuno che Bartali facesse il corriere per salvare gli ebrei e lo stesso Bartali preferiva discutere di Merckx e Hinault.

Ora Pivato contesta quel film e quel libro, ma lo fa solo quarant’anni dopo. Ci sono molte testimonianze sulla vicenda Bartali/ebrei, che il libro di Pivato non prende in considerazione, mentre si concentra molto nel contestare il lavoro di altri autori. Ecco, quale deve essere il valore delle testimonianze? Per quale motivo, l’ebreo Giorgio Goldenberg, che con la sua famiglia visse per un periodo nascosto a Firenze in uno scantinato di proprietà di Bartali (come documentato da una planimetria che oggi appartiene alla nipote Gioia), dovrebbe mentire? Per quale motivo, le suore Clarisse di Assisi che ricevettero le visite di Bartali durante le sue missioni “segrete” avrebbero dovuto inventarsi questa storia? Il Bartali “corriere” per conto del cardinal Dalla Costa non trova riscontri oggettivi? Può essere, perché è ovvio che non dovevano essercene essendo Bartali un personaggio molto noto e, per certi versi, più a rischio.

VIVA BARTALI IL GIUSTO

Ok, il docente universitario, fedele al metodo storiografico rigoroso avrà tutte le risposte e tutte le sue certezze. Io, invece, voglio difendere il valore della memoria, voglio tutelare il suo significato profondo: perché si potrebbe discutere se Bartali avesse contribuito a salvare mille ebrei o magari solo una decina, potremmo dubitare sui suoi viaggi, se andasse ad Assisi da Terontola o a volte andasse in direzione opposta, magari a Camaiore, possiamo ridimensionare la leggenda costruita dai tifosi o da autori di parte, ma non esistono elementi per negare le testimonianze raccolte. La memoria non ha la presunzione di essere “storia”, ma è preziosa per comprenderla e va rispettata. La memoria è un ingrediente fondamentale della storia, ma non solo: ci deve aiutare a capire, ci deve arricchire per poter essere persone migliori. Per questo, non solo Bartali, ma anche tutti i testimoni, tutte le persone che hanno vissuto certe pagine tremende sulla loro pelle, vanno rispettati.

Viva Bartali, il giusto: la sua è una storia bellissima, la vera bugia è definirla “inventata”.

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Pubblicato il 27 Gennaio 2021
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Commenti

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    Scritto da Franco1164

    Buongiorno, rimango sconcertato nell’apprendere dell’esistenza di un tale libero, concordo che la memoria vada preservata per evitare il ripetersi di azioni scellerate, invece non concordo che la memoria non sia storia, prima delle immagini e dei filmati (taroccabili anche queste ai nostri tempi) cosa c’era? Lo scritto (ufficiale o meno) di qualcuno che riportava a memoria ciò che aveva visto e/o annotato ed allora perchè la memoria non è storia?
    Ma questa è solo una questione filosofica, l’importante è che molte persone hanno riconosciuto ciò che fece Bartali, un mega complotto? A quei tempi nenache sapevano di poterlo fare e poi perché?
    Questo libro andrebbe censurato è un piccolo negaziosismo, molto pericoloso, se fossimo in tempo di streghe direi “Al rogo al rogo”.
    Scusatemi lo sfogo ma anche da ciclista praticante lo trovo veramente insopportabile.
    Cordiali saluti
    _______________________

    B

    1. Michele Mancino
      Scritto da Michele Mancino

      Buongiorno Franco,
      capiamo il suo sfogo, ma né la censura né il rogo dei libri aiutano una società a crescere. Questo non è un libro negazionista, ma è la ricostruzione fatta da uno storico di cui è giusto prendere atto proprio per rimarcare ulteriormente l’onestà di Bartali che, come sostiene Lorenzo Franzetti, non ha mai enfatizzato il suo ruolo di “salvatore”. Se anche Bartali avesse contribuito a salvare un solo ebreo, secondo il Talmud avrebbe salvato l’intera umanità. E questo è quello che conta.
      Saluti
      Michele Mancino

  2. Avatar
    Scritto da Paolo Selmi

    Caro Lorenzo,

    Non ho letto il libro. Anche se appare, dalle tue parole, il classico pippone accademico giustificato da una superficiale e accademica disquisizione, il tutto condito da altrettanto accademica vis polemica.

    Peraltro non capisco sinceramente, se di polemica sui numeri (o sugli itinerari) si tratta, quale sia il problema. Il sito ufficiale dello Yad Vashem è abbastanza chiaro nel merito. Non sono eventuali “record” ad averne fatto meritare l’iscrizione:

    “Gerusalemme, 23 Settembre 2013

    Gino Bartali

    Yad Vashem ha riconosciuto Gino Bartali come Giusto tra le Nazioni; tale riconoscimento giunge postumo.

    Bartali fu un campione di ciclismo (vinse tre Giri d’Italia e due Tour de France) ed una figura pubblica molto amata; durante l’occupazione nazista dell’Italia (iniziata nel settembre 1943) lui , devoto cattolico, fece parte di una organizzazione per il salvataggio di Ebrei organizzata dal Rabbino Nathan Cassuto e dall’Arcivescovo di Firenze cardinale Elia Angelo della Costa (che era già stato riconosciuto Giusto tra le Nazioni). Questa rete ebraico-cristiana nata in seguito all’occupazione Tedesca e all’inizio della deportazione degli Ebrei, salvò centinaia di Ebrei Italiani ed Ebrei rifugiati giunti da territori che erano stati posti sotto il controllo italiano, soprattutto dalla Francia e dalla Jugoslavia.

    Gino Bartali nell’organizzazione aveva il ruolo del corriere, nascondendo documenti e carte nella sua bicicletta e trasportandoli tra una città e l’altra, mentre si allenava.

    Consapevole di rischiare la vita per salvare Ebrei, Bartali consegnò documenti falsi a molte persone, tra cui il Rabbino Cassuto.

    Una cerimonia sarà tenuta in Italia in data da determinarsi.”

    https://www.yadvashem.org/education/other-languages/italian/about-righteous/bartali.html

    Nessun “miracolo” addotto a nessuna “causa di beatificazione”, se non il miracolo (senza virgolette!) di uno fra quegli italiani che dissero no: uno di quelli peraltro portati su palmo di mano dal regime che, come appare sul sito, si permette NEL 1941 (ripeto, NEL 1941, non dopo l’Otto settembre, ma in pieno dominio fascista e rafforzato controllo sociale dovuto alla guerra in corso) di autografare con dedica la propria foto proprio a quel Giorgio Goldenberg che ospita nel suo seminterrato (la foto appare nel sito sopra citato). O è un falso anche questo?

    Uno potrebbe poi disquisire, all’infinito certo, sul fatto che certi libri escano fuori adesso così come certe iscrizioni escano nel 2013 postume, e andremmo avanti all’infinito a parlare di uso strumentale della storia, di Sabra e Chatila, fino a finire a chissà dove… e potrebbe anche avere un senso, peraltro. Ma cosa centra Ginettaccio con tutto questo? Vogliamo rendere omaggio e onore a un uomo che nella vita non fu solo un atleta, non solo un’icona, ma un uomo con la U maiuscola, un “uomo” come lo intenderebbe Sciascia nella sua personale classificazione del variegato consesso sociale formato ora da uomini, ora da mezzi uomini, ora da ominicchi, ora da ruffiani, ora da quaqquaraquà? Lui come tanti altri che la storia dimentica, e per cui basterebbe leggere qualche pagina delle Lettere dei condannati a morte della Resistenza per trovarne traccia… ma si fa sempre meno?

    Grazie della recensione e un caro saluto.
    Paolo Selmi

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