Omicidio Hina: non furono motivi religiosi
La Cassazione ha confermato la condanna a trent'anni del padre pachistano che sgozzò la figlia perchè voleva vivere all'occidentale
Non furono motivi religiosi o culturali a spingere il padre a sgozzare Hina, la ragazza pachistana uccisa a Brescia perché voleva vivere all’occidentale. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione rilevando che il padre agì per un ‘patologico e distorto rapporto di possesso parentale’.
La suprema corte ha dunque confermato la condanna a 30 anni respingendo anche la richiesta di ottenere le circostanze attenuanti confermando che furono abietti i motivi del suo delitto. Bocciata anche la richiesta di estromettere, dal risarcimento al diritto dei danni morali Giuseppe Tampini, il fidanzato con il quale Hina conviveva. La Cassazione ha spiegato che, nel caso di Hina e Giuseppe, si trattava di una convivenza protratta nel tempo che aveva ”visibilita’ esterna”, comunanza di vita, ricordando anche il sostegno economico-morale assicurato da Giuseppe alla fidanzata. Sono stati infine condannati a 17 anni i due fratelli mariti delle sorelle di Hina che parteciparono all’aggressione, impedendole di fuggire mentre il padre la inseguiva con il coltello.
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