I cervelli fuggono dai baroni

Il libro di Nicola Gardini “I Baroni” (Feltrinelli) affronta il tema del merito in Italia

«Così si ragiona, in Italia. Fanno strada solo gli interni, cioè i protetti. Non è sufficiente che ti dimostri capace». Leggendo questo libro, si viene presi letteralmente nella storia, nelle vicende raccontate con un linguaggio vivo. Una trama che trasmette al lettore quel flusso di speranza, di entusiasmo che anima chi, con l’ingenua freschezza di chi ha sete di conoscenza, intende condividere il suo sapere per trasmetterlo agli altri, ritenendolo patrimonio comune.
Ma come non ricordarsi di quanto sia difficile vedere riconosciuti i propri meriti e capacità, quando le attenzioni dei dirigenti sono dirette a mantenere il proprio potere; quando manca uno sguardo attento alla ricerca di "talenti" (i cosiddetti cervelli) da coltivare e mandare avanti.
Dietro la logica dei ‘baroni’ si nasconde proprio la totale disattenzione per i meriti che lo studente possiede. Ma questo discorso non vale soltanto per i dipartimenti universitari, di cui si racconta nel libro; bensì per una miriade di ambienti lavorativi che, con uno sforzo di fantasia neanche troppo sforzo, il lettore può facilmente immaginare.
Come non indignarsi, quando l’autore del libro, che ora insegna all’Università di Oxford (Inghilterra), si sente dire: «Se questo fosse un paese civile tu dovresti essere già ordinario. Invece permettono che tu sprechi il tuo tempo ad insegnare le declinazioni ai bambinetti».
Viene da tirare un respiro di sollievo quando, illudendosi di essere stato valutato per i propri meriti, il protagonista racconta di aver vinto finalmente un concorso; per poi ricadere nello sconforto quando succede che viene chiamato dalla propria Università e…: «La preside occupava un grande ufficio, comodo e luminoso, dell’ultimo palazzo. Arrivò subito al dunque “Qui non ti vogliono” »
Le manovre a cui si viene sottoposti nascondono una sottile psicologia: «Il Barone promette e non mantiene…Quanto meno ricevi e sospetti che riceverai, tanto più ti abbassi e rinunci a te stesso. Molti si sono legati al Barone con simili patti. E non hanno ottenuto l’eterna giovinezza; hanno perso l’unica che la vita gli avrà mai donato. Il barone non perde occasione per esercitare il suo potere»  e che portano ad intuire il senso di prostrazione che porta a dire: «Come mi sentivo? Non mi è rimasto in mente. I miei sensi, pensieri, erano rimasti anestetizzati dal colpo, e quello era il più forte che avessi ricevuto» e che fa capire anche perché si diventa spesso incapaci di reagire quando ci si sente comunicare: «Metti da parte l’orgoglio, l’orgoglio non serve a niente. Mostrati pentito…»
Se si vuole capire come mai in Italia siamo così ben disposti a produrre cervelli per poi vederli  andare via dalla nostra terra per non rimetterci più piede, da questo racconto ce ne si può fare un’idea precisa: finché la situazione sarà questa, non ci sarà posto, né sensibilità verso il talento e non saranno favorite politiche rivolte a puntare sul patrimonio che rappresentano sui nostri giovani.
«Il potere è questo: assoggettare, in qualunque modo, senza paura di esporsi al risentimento», e ciò che tocca di più è che, questa, è una storia vera.

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 13 Luglio 2009
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