“Nell’argilla ci sono storia, umanità e amicizia”: i ceramisti Ramiro e Sartori sorprendono Materia
Legati da arte, ceramica e sensibilità affini l'artista brasiliano e quello varesotto sono stati protagonisti di una serata "tra amici ma aperta al pubblico" nell'Agorà di Materia a Castronno

«Mi piace il suo atteggiamento lento e meditativo. Lui si stupisce e si meraviglia del suo lavoro. Coglie l’emozione. Esprime l’intimità che esiste tra la creazione e il creatore. Ammiro la sua arte meditativa e lenta che si appassiona ogni giorno e cerca di andare oltre quello che si è» – Queste parole cariche d’emozione sono di Tino Sartori, artista molto noto nel Varesotto, e descrivono l’amico ceramista Dalcir Ramiro.
I due hanno dato vita a una vera e propria serata tra amici – aperta al pubblico – lunedì 28 luglio nell’agorà di Materia a Castronno. Sul palco due “colleghi” provenienti da due parti del mondo lontane e diverse: Dalcir Ramiro è di Paraty in Brasile, Tino Sartori, di San Macario di Samarate.
A rompere il ghiaccio è stato un terzo, affezionato amico, Marco Giovannelli. Il direttore di VareseNews ha spiegato: «Stasera si parla di un’arte non fine a se stessa, anzi. Un’arte che va dal cuore del Brasile fino al Varesotto e viceversa. Un incontro tra amici che diventa occasione di ispirazione per il pubblico. Dalcir arriva da Paraty, luogo magico che ha avuto la fortuna di essere stato dimenticato da tutti perché tra Rio e San Paolo, ed è culla amata e stimata dal suo grande amico artista Tino Sartori che gli ha fatto conoscere le nostre zone, in un vero e proprio scambio artistico e umano».
DALCIR RAMIRO: “Toccando la mia prima argilla sentii il mio futuro”
Con uno splendido e leggero accento portoghese, Dalcir Ramiro racconta che quando ha iniziato con la ceramica nella sua Paraty quest’arte non esisteva. «Ho 75 anni e da 50 il mio lavoro è la ceramica. Nessuno praticava questa arte nella mia città. Un giorno, per caso, al mercato trovai un signore che portò vari prodotti del suo paese tra cui la ceramica. E toccando l’argilla mi resi conto che da quel materiale c’era qualcosa da sviluppare. Chiesi al signore se conoscesse qualcuno capace di lavorare la ceramica, e mi portò a conoscere una donna. Andai con lei a prendere dell’argilla in un fiume. Lì provai la mia prima esperienza di ceramica: è stato bellissimo per me. Stavo facendo l’università di amministrazione d’impresa in quegli anni ma toccando l’argilla capii che la mia strada era un’altra».
TINO SARTORI: “La ceramica è la mia intima espressione”
Marco Giovannelli presenta Marilena Anzini, che ha allietato la serata a colpi di chitarra e voce, e quindi dà la parola a Tino Sartori. L’artista spiega che anche nella sua San Macario non c’era la cultura della ceramica. «Sentii che nell’argilla c’era quel qualcosa in più che mi mancava».
Mentre racconta la storia della loro amicizia spiega anche la sua passione per quest’arte sintetizzandola con l’espressione «la ceramica è la mia più intima espressione».
PERCHÈ PROPRIO L’ARGILLA?
Sartori racconta: «L’argilla e il fango sono il materiale più primordiale, più semplice, di gioco per i bambini. È essenziale portare fedeltà ai materiali, perché entri in contatto con una storia».
E prosegue: «É il limite che permette di andare oltre. Alessandro Baricco, nel libro Novecento, parla di un pianista che arrivato a New York in nave decide di non scendere perché non vuole rischiare di perdere se stesso. Dice che la sua tastiera è limitata ma la produzione musicale infinita. Per quanto mi riguarda, sento che lavorando con l’argilla, semplice, povera ed essenziale trovo infinite possibilità di stimolo creativo».
COSA RIMANE AL FUTURO
Conclude quindi Sartori: «Abbiamo due percorsi diversi, nonostante l’incontro ciascuno ha portato avanti una sua specificità. L’esperienza artistica è un’esperienza terapeutica. Con Cizinho ho imparato varie tecniche. Ma ciò di più importante che mi ha dato è il suo modo di apprestarsi all’arte, la sua poetica. Quella parte che i greci chiamavano scholè, l’otium dei latini che è il tempo dedicato non al lavoro, ma il tempo detto “delle cicale”, quando viene fuori la parte migliore di noi, dedicata all’arte, alla musica alla poesia. Nei momenti di otium riconosciamo i valori più grandi della nostra esistenza, un lavorare per edificare, uno spazio di tempo dedicato alla cultura che è ciò che ci salva e che fortunatamente fate qui Materia. Ci serve più calma, più arte, più umanità».
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