«La verità non è la realtà»: Carofiglio a DuemilaLibri smonta la politica delle parole che ipnotizzano
Non un semplice incontro letterario, ma a una lezione civica sul linguaggio, su come le parole modellino la politica, manipolino la percezione e, in certi casi, producano persino una sorta di stato di coscienza alterato
«La verità non è la realtà». Gianrico Carofiglio apre così il dialogo con Alessandra Tedesco alla rassegna DuemilaLibri, e la frase — che sembra un paradosso — diventa il filo rosso di un incontro serrato, dedicato al suo nuovo libro Con parole precise. Manuale di autodifesa civile.
Il pubblico non assiste a un semplice incontro letterario, ma a una lezione civica sul linguaggio, su come le parole modellino la politica, manipolino la percezione e, in certi casi, producano persino una sorta di stato di coscienza alterato.
Cittadini o sudditi?
Carofiglio rivisita il titolo pubblicato dieci anni fa, Con parole precise. Breviario di scrittura civile. per concedersi un’occasione per «militare sul dovere di cittadinanza, che vuol dire consapevolezza». L’autore chiarisce: «l’espressione “cittadini consapevoli” è ridondante: se non si è consapevoli – spiega – non si è davvero cittadini, si rischia di essere sudditi, vulnerabili a qualsiasi manipolazione del potere». È proprio all’uso “deliberatamente improprio” del linguaggio nel racconto politico per raggiungere la “cosiddetta verità” che Carofiglio dedica la propria riflessione, mostrando come slogan, parole opache e narrazioni semplificate possano sostituire i fatti e deformare il dibattito pubblico.

La verità tra rivelazione, scetticismo, censura e relatività
Necessario risulta un focus sulla verità. Carofiglio diverte il pubblico presentando gli anagrammi della locuzione “la verità”: rivelata, evitarla, vietarla, relativa. Tutte caratteristiche che possono essere proprie della verità, o delle verità in senso plurale. Non si tratta di un semplice gioco linguistico, ma una piccola mappa politica.
“Rivelata” rimanda alla verità imposta dall’alto, quella della metafisica, della religione o degli assolutismi che stabiliscono qual è la verità ammessa; il destinatario la deve accettare, nel migliore dei casi interpretare. “Evitarla” richiama lo scetticismo filosofico, o anche politico; l’idea che la verità sia irraggiungibile o inesistente, e dunque inutile. “Vietarla” è il tentativo delle narrazioni capovolte, dove il racconto corretto viene proibito per far spazio a una verità inventata. “Relativa”, infine, è la dimensione democratica: l’unica che ammette pluralità di punti di vista, dove la verità non è assoluta ma dipende dall’onestà del rapporto tra contenuti e valori.

Carofiglio richiama quindi Norberto Bobbio, ricordando che la democrazia non vive di contrapposizioni nette, bensì di argomentazioni che creano uno spazio comune. È in quello spazio che si collocano le “buone parole”, quelle usate con onestà. E avverte: «quando gli uomini smettono di credere alle buone ragioni, torna la violenza».
La distinzione tra verità e realtà porta Carofiglio a uno dei suoi temi più sentiti: il potere della letteratura. «Uno scrittore che racconta un fatto realmente accaduto non è più vero di chi scrive un episodio impossibile», lo sollecita Tedesco. Kafka e la Metamorfosi diventano l’esempio più efficace: una storia irrealizzabile che dice però una verità profonda sulle relazioni umane.
Trump: un “talento naturale” per il linguaggio che ipnotizza
Giunge poi il momento della politica contemporanea e il discorso si fa ancora più concreto. Carofiglio interviene sulla comunicazione trumpiana, decisamente efficace con l’elettorato americano nonostante analisi quantitative aventi come oggetto di studio i suoi comizi rivelino che il suo linguaggio sia ricco (o povero) al pari di quello di un bambino di nove anni.
Perché allora l’autore insiste sul fatto che Trump sia “un talento naturale” nella comunicazione? Il presidente fa gioco forza sul «declino cognitivo di tipo neurologico – quello che fa chi pratica ipnosi. Tecniche specifiche per produrre induzioni ipnotiche che alterano lo stato di coscienza». Il modello basato sul “linguaggio ipnotico” risulta essere basato su un insieme di tecniche che ricordano l’ipnosi ericksoniana, fondate sul sovraccarico cognitivo, sull’uso di frasi senza senso, di parole chiave ripetute, di contraddizioni continue. L’effetto, spiega, è quello di far perdere al pubblico il filo logico, e «saltando la corteccia prefrontale le difese sono superate». Così anche la democrazia, quando il linguaggio funziona così, si altera.
Non risparmia una critica agli avversari politici che «insieme ai mezzi di informazione moltiplicano l’efficacia ipnotizzante della sua comunicazione». Carofiglio individua nell’accettare il contraddittorio nel perimetro linguistico imposto dal manipolatore il rafforzamento della manipolazione.
Il “meccanismo del panino”: la tecnica per reagire
Carofiglio propone anche alcune strategie di autodifesa linguistica. La prima, apparentemente semplice, è non ripetere mai la sciocchezza che si vuole smentire. «Non pensate a un elefante», ricorda, citando Dostoevskij, che prese a esempio un orso bianco: la mente non percepisce la negazione e visualizza l’immagine a cui è stato chiesto di non pensare.
Uguale è l’atteggiamento del nostro intelletto se si ripete una menzogna: la si rafforza. «Per questo occorre prima ridefinire il perimetro linguistico corretto, poi negare l’affermazione manipolatoria e infine ribadire il quadro iniziale» insiste l’ex magistrato. «Entrare direttamente nel terreno di chi manipola significa avere già perso la battaglia».
Il peso delle parole: inglesismi, gerghi e potere oscuro
Carofiglio si concede un momento di ironia parlando degli inglesismi che infestano le dinamiche aziendali. Infine, fa capolino la sua formazione giuridica e interviene sulla lingua del diritto. «Da linguaggio per comunicare sia diventata una lingua di esclusione, utile a non spiegare procedure e decisioni».
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