Senza ali
“Quando avete buttato nel mondo d’oggi un ragazzo senza istruzione, avete buttato in cielo un passerotto senza ali”. Sono passati cinquantun anni da quando don Lorenzo Milani spiegava ai genitori che la scuola è importante, è fondamentale per la crescita.
“Non si vola oggi con la quinta elementare”, aggiungeva subito dopo.
E ora chi glielo dice a quei duecentoundicimila nostri concittadini che possiedono solo questo titolo di studio?
Don Milani non si fermava a delle massime scontate, ma dava precise indicazioni ai genitori. “Fateli studiare per forza”, – diceva, – Voi non li mandereste al lavoro senza il fagottino del mangiare e volete mandarli nella vita senza il fagottino del sapere?”
Possiamo pure scuotere la testa, ma quello che stiamo vivendo è un mondo che sembra aver smarrito ogni lume della ragione. Questo non sarà il migliore dei mondi possibili, ma certamente è il migliore dei mondi che abbiamo avuto finora. Ma intanto non ce ne vogliamo rendere conto e buttiamo alle ortiche un potenziale di risorse enormi. E con questo buttiamo via le vite dei ragazzi, dei più deboli, anche se a volte il loro autolesionismo li fa sembrare i soli responsabili di una disfatta.
La morte dei tre ragazzi di domenica non è un dramma solo loro, delle loro famiglie, dei loro cari. È una tragedia nostra, di tutti noi che non vogliamo guardare cosa ci sta succedendo intorno. Le famiglie lasciate sole a se stesse, la scuola abbandonata al suo destino, la comunità che non si ritrova più in alcun dove. Una generazione che fa fatica a fare i conti con il concetto di responsabilità, di dovere. Ma del resto perché mai dovrebbero saperci fare i conti se gli adulti per primi li tengono lontani da ogni fatica e considerano i valori una questione di secondo oridne rispetto a soldi e successo?
E così può avere ancora senso parlare di istruzione? Certo che si, perché è un momento importante di formazione, che nulla a che vedere con quattro nozioni. Non può essere solo questo. La scuola non può funzionare solo per impartire regole, deve recuperare quella funzione educativa che possa affiancare la famiglia e altre agenzie per la crescita dei ragazzi nell’età che è e rimane la più delicata. Molti insegnanti ci credono. Dobbiamo dargli maggiore carica, maggiori risorse, maggiori strumenti di lavoro.
Occorre aver coraggio e guardare dentro i malesseri e le inquietudini di quell’età così fragile. Proprio quella di quel gruppetto che, una domenica come le altre, aveva scambiato una strada per una pista dove dimostrare la propria esuberanza.
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