“Il mio cuore batte grazie a un generatore, la neve ha rischiato di uccidermi”

Adriano Orlando, 42 anni, è malato di miocardite dilatativa. È invalido al 100% e percepisce una pensione di 270 euro al mese. Ecco come fa a vivere, fra parenti spariti e attesa di trapianto

cuveglio adriano orlando marzo 2016

Due occhi un po’ stanchi in mezzo a un volto bianco e smagrito. La bocca si muove: «Chissà, con questa neve, se troveranno da mangiare i caprioli, e i cinghiali del bosco».

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La storia di Adriano Orlando 4 di 10

Gli alberi sono a due passi e quando stava bene, Adriano Orlando, 42 anni, ci andava per sfamare gli animali.
Ora sta seduto al primo piano di casa sua con metà del suo cuore che funziona grazie ad una macchina che lo tiene in vita «senza di questa ho tre ore di autonomia, poi comincio a stare male, e senza muoio».

Di fianco c’è la moglie, Susanna Muraca, che con poche parole racconta la situazione in una soleggiata mattina di marzo. Tutt’intorno, nel dedalo di stradine che fanno il nucleo storico di Vergobbio, a Cuveglio, non si sente un rumore.
«Sono originario di Moncalieri, in Piemonte, mentre lei, Susanna, è di Casalzuigno. Dal 2008 viviamo qui a Cuveglio io faccio – facevo – il piastrellista» dice Adriano.

Poi la malattia. E la morte di metà del suo cuore.
«Era il 26 luglio del 2013, quando Adriano ebbe una fortissima crisi a causa della miocardite dilatativa, una patologia molto rara, di origine genetica, che provoca la dilatazione dei ventricoli. Quel giorno mio marito perse il 97 % della funzionalità del ventricolo sinistro (è una delle quattro camere del cuore umano composto da due atri e due ventricoli. Riceve sangue ossigenato dall’atrio sinistro attraverso la valvola mitralica, e lo pompa nell’aorta attraverso la valvola aortica nda): era mantenuto in vita con dosi di eparina. Poi all’ospedale di Torino, dove era ricoverato, optarono per l’installazione di un L-Vad, un “assistente ventricolare sinistro” che ha riportato la funzionalità del ventricolo al 25%. In Italia vivono così 100 persone».

E da lì la vita di Adriano cambia come dal giorno alla notte: fiatone, fatica a camminare, impossibilità ad esercitare ogni tipo di lavoro e il rischio di una dilatazione anche del ventricolo destro. Non può guidare, né stare in casa da solo. I medici lo mettono in lista per il trapianto di cuore, che però non arriva. «Sono invalido al 100%. e non ho alcuna possibilità di sostentamento in quanto non riesco a fare nulla: solo ogni tanto mi metto a cucinare qualcosa. Ma non posso mangiare altro se non carne di pollo, tacchino e coniglio bollite perché devo perdere peso e per fortuna ci sto riuscendo. Da giugno sono calato di 15 chili».

In questa condizione la perdita di peso non è solo un’esigenza legata al benessere fisico, perché Adriano è in lista per un trapianto di cuore. A fine ottobre 2014 sembrava vi fosse un organo disponibile. «Ci chiamarono la prima volta dicendo di prepararci – racconta Susanna – . Poi arrivò una seconda telefonata. L’ambulanza era in viaggio. Poi il telefono squillò per la terza volta e fu come una doccia gelata: “L’organo disponibile per il trapianto è troppo piccolo, ci dispiace”. Fu molto, molto dura, riprendersi da quella settimana».

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Susanna e suo marito sono seguiti da uno psicologo per superare questo momento. Attorno alla loro vita, fatta di cinema, pizzeria, teatro e ristorante cinese solo qualche anno fa, si è creato oggi il vuoto. «Le nostre famiglie sono state travolte da quanto accaduto: si sono sciolte come neve al sole – dice ancora Susanna . Ora possiamo contare solo su pochissimi e fidati amici. Abbiamo un padrone di casa molto comprensivo che ci dà una mano: pensi che ci ha pure spalato la neve, qualche giorno fa. A volte ritardiamo il pagamento dell’affitto: del resto questa malattia ha dei costi elevati e non riusciamo sempre a far fronte alle spese. Mio marito percepisce una pensione di invalidità di 270 euro al mese. E basta. Siamo in causa con l’Inps da due anni perché chiediamo un accompagnamento di 500 euro per pagare la badante, ma non ci danno nulla. Il Comune ci ha aiutati ad accedere al bando regionale per l’assistenza, che ora è scaduto. Così io mi sono dovuta mettere in aspettativa, faccio l’operatrice socio sanitaria a Luino. Ma a volte lo stipendio davvero non basta perché una volta al mese, nostre spese, dobbiamo andare a Torino a far regolare l’apparecchio. Si tratta di mettersi in viaggio e rimanere lì per almeno due giorni, quindi spese di trasporto, di pernottamento, il mangiare: tutto a carico nostro».

Poi i disagi quotidiani: per curare la miocardite dilatativa ci vogliono 15 farmaci al giorno. L’apparecchio L-Vad è collegato con un tubo in plastica che entra nell’addome e va direttamente al cuore; non è uno scherzo neppure gestire una doccia. Il punto di ingresso della cannula deve essere medicato di frequente perché un’infezione potrebbe essere letale.

Proprio mentre parliamo di come questa famiglia riesca a sopravvivere nell’attesa di una chiamata per un cuore nuovo, suonano alla porta e poco dopo entra un’infermiera di una struttura convenzionata col sistema sanitario nazionale, qui per rifare la medicazione: guanti sterili, cerotti traspiranti, molta attenzione.

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Col macchinario L-Vad che Adriano porta a tracolla si muovono sempre anche le pile di riserva. E sabato scorso, durante il black out che colpì anche Cuveglio nel corso della nevicata, Susanna temette il peggio. «Mi sono spaventata: se le pile non possono venir ricaricate, abbiamo tre ore di tempo per arrivare a Torino. Il sistema per ricaricarle in assenza di energia elettrica è piuttosto macchinoso e per questo dalla disperazione ho realizzato un video postato su Facebook per chiedere aiuto. Pensi che una signora mi ha promesso un piccolo generatore in regalo. Con questo macchinario anche in assenza di corrente potremo ricaricare le pile».

Ma un uomo che aspetta un cuore nuovo, che vive in questa condizione, che aspettative ha? Di cosa ha paura? «Ho paura del trapianto, quello sì. Ho molta paura. Ma poi mi fermo a pensare e mi rendo conto che è sempre meglio rischiare che vivere con un tubo che ti esce dalla pancia».

Poi Adriano sta in silenzio un attimo, e dice: «Non vedo l’ora di tornare a dar da mangiare agli animali del bosco. Mi riconoscevano, avevano un orario preciso perché alle venti uscivo, e portavo loro qualcosa. Ogni sera tornano a chiamarmi perché il cane del vicino si mette ad abbaiare. Chiedo davvero poco, per poter vivere».

Andrea Camurani
andrea.camurani@varesenews.it

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Pubblicato il 10 Marzo 2016
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