Pressofusione: “Se non ci pagate pignoriamo l’azienda”
Solo 250 euro nell'ultimo mese. Per i 31 dipendenti è diventata una questione di sopravvivenza
«Se non ci pagate pignoriamo l’azienda». I lavoratori della Pressofusione di Brebbia nei prossimi giorni potrebbero tentare questa via. A distanza di un mese dalla dimostrazione pubblica, i 31 dipendenti, quasi tutti extracomunitari, non vedono spiragli.
Per molte famiglie la questione è diventata di sopravvivenza, perché in un mese hanno ricevuto solo 250 euro.
«Erano stati presi degli impegni con il liquidatore della società – dicono i rappresentanti di Cgil, Cisl e Uil – . L’azienda ha aperto la procedura di licenziamento e di messa in mobilità di tutti i dipendenti con una lettera inviata solo dopo le pressioni del sindacato e dei lavoratori. In attesa di vendere gli impianti di proprietà e quindi pagare i dipendenti e proporre al sindacato un accordo, l’azienda si era impegnata a dare ai lavoratori altri acconti in modo da rendere meno drammatica la loro situazione economica e familiare».
I lavoratori sono ancora a disposizione della società, anche se la stessa ha esaurito le ultime lavorazioni da almeno 20 giorni e gli impianti sono fermi. Non possono cercarsi un altro posto di lavoro perché l’azienda non ha ancora spedito le lettere di licenziamento: i giorni previsti dalla legge sono 45, a cui se ne aggiungono 30 per dell’Ufficio provinciale del lavoro che dovrà tentare una soluzione concordata.
Si può interrompere questa procedura, ma a condizione: che ci sia un accordo con il sindacato, che ci sia in corso una richiesta di fallimento da parte dei dipendenti o di altri soggetti creditori, che vengano depositati i libri in Tribunale (procedura di fallimento in proprio) da parte degli ex proprietari della società.
Nei ultimi due casi la decisione passerebbe ad un giudice fallimentare che renderebbe esecutivi i licenziamenti e il blocco dei beni della società in fallimento a favore dei creditori e i lavoratori sono privilegiati nei confronti di altri soggetti.
Per evitare questo, ci può essere un accordo con il sindacato che permette al liquidatore di procedere ai licenziamenti collettivi e agli ex dipendenti di iscriversi alle liste di disoccupazione speciale (e quindi di cercarsi un altro lavoro con il privilegio della mobilità per chi assume) e in caso di inattività di ricevere un’indennità di mobilità (e gli assegni familiari) da parte dell’Inps.
Per fare questo, però, ci vogliono alcune garanzie che solo gli ex proprietari possono fornire: un impegno a ridurre in toto o in parte le retribuzioni arretrate e un piano di pagamento del tfr (trattamento di fine rapporto o liquidazione) maturato al momento del licenziamento.
«Queste condizioni l’azienda se le potrebbe permettere perché il credito dei dipendenti é di circa 200.000 euro, mentre il valore ancora presente in azienda è senz’altro superiore.
Se nei prossimi giorni non si trova una soluzione concordata, le organizzazioni sindacali e i lavoratori promuoveranno un’azione legale presso il Tribunale di Varese, chiedendo il pignoramento delle proprietà per ottenere il propri crediti».
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